L'isola che non esisteva by Kenneth Robeson

L'isola che non esisteva by Kenneth Robeson

autore:Kenneth Robeson [Robeson, Kenneth]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: 03
editore: Emmebooks
pubblicato: 2014-11-02T16:00:00+00:00


10

Boris Ramadanoff finì la sua discesa col paracadute posandosi su una stretta striscia di vegetazione tra l'Hudson e il Riverside Drive. Unico testimone di quell'atterraggio fu un povero ubriacone in preda ai fumi dell'alcool. Per lui, la visione di un uomo che scende dal cielo attaccato a un lenzuolo, non fu che una variazione sul tema dell'elefante che vola.

Boris Ramadanoff riuscì dunque ad atterrare virtualmente inosservato. Si liberò del paracadute e avanzando un po' a tentoni uscì dai cespugli, salì in fretta la gradinata di pietra che portava su, fino al piano stradale del lungofiume. Prese un tassì e si fece portare nella Decima Strada, a ovest del quartiere di Time Square.

Giunto a destinazione, saltò fuori dell'auto e gridò all'autista: "Torno subito!", poi sparì in un portone. Dopo pochi istanti si ripresentò stringendo sottobraccio un oggetto rigido, avvolto in una coperta.

«West Street!» ordinò all'autista e si diede ad annodare più strettamente il suo fagotto dalla forma stranamente allungata.

West Street è una strada che costeggia il fiume Hudson ed è praticamente tutta una serie di "docks". Dopo aver congedato il tassì, Boris Ramadanoff si incamminò per il lungofiume poco illuminato e si fermò davanti a un grande capannone in muratura.

L'enorme edificio aveva un'aria vecchiotta ed appariva annerito dal fumo, come tanti altri di New York destinati al deposito e spedizioni merci per tutto il mondo.

Sulla grande saracinesca che chiudeva l'ingresso c'era la seguente scritta:

HIDALGO TRADING COMPANY

Ramadanoff sapeva che in quel capannone non si custodivano merci di nessun genere: velivoli, piuttosto! Era infatti l'hangar dove l'uomo di bronzo teneva il suo assortimento di aerei modernissimi, e tutti attrezzati con apparecchiature speciali, come del resto le auto parcheggiate nel sotterraneo del quartier-generale.

Il russo non tentò nemmeno di entrarci. Il capannone-hangar era protetto dai più raffinati sistemi d'allarme fotoelettrici e magnetici. Era più facile entrare nella camera blindata di una banca. Ramadanoff sapeva benissimo anche questo. E perciò fece la cosa più semplice del mondo.

Tanto semplice da sembrar perfino ridicola. Andò a nascondersi in uno dei tanti cespugli che si trovavano là intorno, scegliendo naturalmente quello da cui si poteva tener d'occhio la porta del capannone. Quando fu ben acquattato nel cespuglio prescelto, Ramadanoff aprì il fagotto che aveva con sé: nelle sue mani apparve un mitra di metallo brunito. Anche il calcio dell'arma era verniciato con una sostanza anti-riflessi.

Quando era saltato giù dall'autogiro, Ramadanoff non aveva nessuna arma con sé. Se n'era procurata una più tardi, presso uno degli uomini di Bergman che abitava nella Decima Strada. Lo scagnozzo di "testa a pera" non sapeva ancora nulla della morte di Jans Bergman e il russo non perse tempo a dargli la notizia. C'era il tassì alla porta, doveva andare all'hangar di Doc Savage e lui aveva molta fretta.

Naturalmente Ramadanoff era sicurissimo che l'uomo di bronzo non avrebbe tardato ad arrivare. Più sicuro ancora, il fatto che sarebbe andato subito in volo verso le Galapagos. Ma, secondo Ramadanoff, quel viaggio non sarebbe mai cominciato. Doc avrebbe ricevuto la sua buona razione di piombo... prima



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