Marchionnemente by A.A.V.V

Marchionnemente by A.A.V.V

autore:A.A.V.V.
La lingua: ita
Format: mobi
editore: Il Fatto Quotidiano
pubblicato: 2014-11-09T17:35:29.676201+00:00


Carmen, Antonio, Francesco e gli altri esclusi di Sandra Amurri

Il destino di un lavoratore può essere anche figlio di un gioco di nomi, o di sigle. A Pomigliano d’Arco, per esempio, è bastato trasformare il nome del vecchio impianto, FGA (Fiat Gruppo Automobili) in FIP (Fabbrica Italia Pomigliano). Poco importa se la fabbrica è la stessa. Come d’incanto dei 5200 dipendenti originari ne sono rimasti meno della metà, 2050. E dopo il referendum sul nuovo contratto – guarda caso – tra quelli riassunti nessuno è iscritto alla Fiom. «Essere iscritto alla Fiom non aiuta», dicono i capi agli operai che chiedono quando saranno riassunti. «Prova a cancellarti dalla Fiom», suggeriscono. «Se strappi la tessera» concludono «è più facile aiutarti».

La richiesta di abiura in cambio del pane, la violenza psicologica esercitata sotto la forma apparentemente di un consiglio paterno. È una litania lacerante, che si ripete, un invito a scegliere tra l’orgoglio di una storia di lotte per la libertà legata a quella tessera, e il bisogno immediato di tornare al lavoro per sfamare i propri figli. La tessera come segno discriminante, come marchio della vergogna. Da quando è nato il nuovo impianto, nessuno sa quali siano i parametri di valutazione adottati dalla Fiat per la selezione del reintegro. Nessuno sa perché Marco viene richiamato e Angela no.

La fabbrica è diventata una muraglia che emette lamenti e lacrime. I compagni più giovani telefonano ai più anziani che sono fuori ad attendere una chiamata. Sapendo bene che, se non arriverà, tra un anno quando la cassa integrazione sarà finita, i non riassunti saranno catapultati nel limbo della mobilità, dove quel cordone ombelicale con la fabbrica si rompe per sempre. Le voci di dentro parlano a quelli di fuori: «Compagno come stai? Vorrei tanto vederti. Non ce la faccio più ci trattano come bestie. Mi impongono di fare lo straordinario dopo turni massacranti», come impone il nuovo contratto. «Resisti, non ti sentire solo, ti abbraccio» risponde Luca, cassaintegrato con quattro figli, che combatte contro una depressione che ogni mattina gli dà la sveglia con il pianto e le gambe che tardano a mettersi in moto. Eppure anche quelli che sono fuori continuano a sentirsi uomini Fiat. Soffrono come figli svezzati dalla catena di montaggio con l’odore delle vernici che non ti abbandona, come figli traditi e abbandonati. Lo spiega bene Antonio Di Luca, che ha trascorso gran parte dei suoi quarantacinque anni in fabbrica. Da tre è in cassa integrazione. Antonio è un capofamiglia monoreddito, con tre figli, il più piccolo ha tre anni: «Lo abbiamo concepito senza lavoro ed è nato in cassa integrazione» racconta oggi Antonio «anni e anni di lotte mi hanno reso più fragile. Con mio figlio sulle ginocchia mi ritrovo a piangere per un cartone animato». Ma la riconoscenza verso l’azienda resiste anche all’amarezza: «Grazie alla Fiat ho potuto realizzare i miei sogni: sposarmi, ottenere il mutuo per comperare casa e avere tre figli. Sono certo di avere esperienza e competenza per poter essere richiamato. Ho lavorato alla revisione, al collaudo, ho ricoperto molte mansioni di elevata specificità».



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