Molloy by Samuel Beckett

Molloy by Samuel Beckett

autore:Samuel Beckett
La lingua: ita
Format: epub, azw3
pubblicato: 2014-07-03T04:00:00+00:00


II

È mezzanotte. La pioggia sferza i vetri. Sono calmo. Tutto dorme. Tuttavia mi alzo e vado alla mia scrivania. Non ho sonno. La lucerna mi rischiara con luce dolce e ferma. L’ho regolata. Mi durerà sino a giorno. Sento il gufo reale. Che terribile grido di guerra! Una volta lo ascoltavo impassibile. Mio figlio dorme. Che dorma. Notte verrà in cui anche lui, non riuscendo a dormire, si metterà al suo tavolo da lavoro. Io sarò dimenticato.

La mia relazione sarà lunga. Forse non la finirò. Mi chiamo Moran, Jacques. E' questo il mio nome. Sono fottuto. Anche mio figlio. Non deve sospettarlo. Probabilmente si crede alle soglie della vita, della vera vita. Cosa d’altronde esatta. Si chiama Jacques, come me. Ciò non può prestarsi a confusione.

Ricordo il giorno in cui ricevetti l’ordine di occuparmi di Molloy. Era una domenica d’estate. Stavo seduto nel mio giardinetto, in una poltrona di giunco, con un libro nero chiuso sulle ginocchia. Dovevano essere circa le undici, ancora troppo presto per andare in chiesa. Mi godevo il riposo domenicale, pur deplorando l’importanza che vi si annette, in certe parrocchie. Lavorare, e anche giocare di domenica, non era necessariamente riprovevole, secondo me. Secondo me tutto dipendeva dallo stato d’animo di chi lavorava, o giocava, e dalla natura dei suoi lavori, dei suoi giochi. Riflettevo con soddisfazione sul fatto che questo modo un po’ libertario di vedere stava guadagnando terreno anche tra il clero, sempre più disposto ad ammettere che il sabbat, una volta che si va a messa e si versa il proprio obolo, può essere considerato un giorno come gli altri, sotto certi aspetti. La cosa non mi toccava personalmente, a me è sempre piaciuto non far nulla. E mi sarei riposato volentieri anche nei giorni lavorativi, se ne avessi avuto i mezzi. Non che fossi propriamente pigro. La questione era un’altra. Guardando fare ciò che io avrei fatto meglio, se avessi voluto, e che facevo meglio ogni volta che mi ci mettevo, avevo l’impressione di adempiere a una funzione alla quale nessuna attività avrebbe potuto innalzarmi. Ma a questa gioia mi potevo abbandonare solo di rado durante la settimana.

Il tempo era bello. Guardavo distrattamente le mie arnie, l’uscire e il rientrare delle api. Sentivo sulla ghiaia i passi precipitosi di mio figlio, rapito in chissà quale fantasia di fughe e inseguimenti. Gli gridai di non sporcarsi. Non rispose.

Tutto era calmo. Neanche un alito. Dai comignoli dei vicini il fumo saliva dritto e azzurro. Rumori rassicuranti, un tintinnare di mazze e di palle, un rastrello sulla sabbia d’arenaria, un lontano tagliaerba, la campana della mia cara chiesa. E uccelli, s’intende, merlo e tordo in testa, i cui canti s’estinguevano a malincuore, vinti dalla calura, e che lasciavano i rami alti dell’aurora per l’ombra dei cespugli. Respiravo con piacere gli effluvi della mia verbena cedrina.

Fu in questa cornice che trascorsero i miei ultimi momenti di felicità e di calma.

Un uomo entrò nel giardino e avanzò in fretta verso di me. Lo conoscevo bene. Che un vicino,



scaricare



Disconoscimento:
Questo sito non memorizza alcun file sul suo server. Abbiamo solo indice e link                                                  contenuto fornito da altri siti. Contatta i fornitori di contenuti per rimuovere eventuali contenuti di copyright e inviaci un'email. Cancelleremo immediatamente i collegamenti o il contenuto pertinenti.