Odio il calcio by Fabrizio Biasin

Odio il calcio by Fabrizio Biasin

autore:Fabrizio Biasin [Biasin, Fabrizio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: SPERLING & KUPFER
pubblicato: 2023-09-19T12:00:00+00:00


«Io non sono pirla…» Il resto è storia del calcio

RICORDO come se fosse oggi lo sbarco a Milano di un signore chiamato José Mourinho. È il 3 giugno 2008, e quel giorno il fior fiore della stampa sportiva nazionale e internazionale è radunato ad Appiano Gentile per la conferenza dello Special One, scelto da patron Massimo Moratti come erede interista di cotanto Roberto Mancini. C’è il meglio del meglio dell’intellighenzia nostrana, ma pure il peggio. E infatti per l’occasione presenzio persino io.

Lo stanzone preposto è saturo di anidride carbonica e varia umanità, mi posiziono strategicamente in un angolo, di fianco a un collega panciuto, corrispondente per l’Italia del quotidiano portoghese A Bola. Oh, il panza non mi molla un secondo: «Voi non potete capire, questo qua è un fenomeno, questo qua vi fa impazzire, questo qua è una iena». Sputacchia a 360 gradi e pare un invasato.

Poi è il turno dei cameramen, saranno una trentina e fanno a sportellate per acchiappare un posto in prima fila: «Qui ci sto io», «No, io», «Levati dalle balle».

Facciamo la conta: un centinaio di giornalisti di tutte le razze, microfoni come piovesse, attesa spasmodica per l’arrivo del Santo da Setúbal, un caldo porco. Il tutto all’interno dei duecento metri quadrati della sala stampa Angelo Moratti, ben lustrata per l’occasione.

José in questione non è il fornitore di caffè di Appiano Gentile, ma il nuovo oracolo nerazzurro. Alle 11.20 i media sono pronti e si scambiano confidenze. Adesso arriva il bellimbusto e lo facciamo secco. Ma chi si crede di essere? il pensiero più gettonato. Solo il panza continua imperterrito: «Voi non lo conoscete, non sapete chi vi mettete in casa». Agitato come il cane quando «sente» il terremoto.

Alle 11.39 i cronisti trattengono il fiato: entra il responsabile dell’area tecnica Marco Branca con un ghigno che ve lo raccomando, dietro di lui José Mário dos Santos Mourinho Félix, camicia ben inamidata, cravatta con nodo strategicamente largo, neanche un sorriso. Pare un attore.

Non ha ancora parlato, il portoghese, ma tra i presenti la sensazione è netta: con uno sguardo questo qua ha cancellato Mancini, quello dei tre scudetti consecutivi. Mancini chi?

Si parte, sotto con le domande. «In Inghilterra si era presentato dicendo ‘Sono lo Special One’ – il numero uno –. Noi come la dobbiamo chiamare?»

«Chiamatemi Mourinho.» Stop.

Al secondo quesito san José completa il miracolo: «Sa l’italiano?»

«Poco, in ogni caso parlerò solo nella vostra lingua» (i giornalisti stranieri abbozzano). L’ex Chelsea comincia a pontificare («L’Inter è speciale, il calcio italiano è speciale, sono un grande allenatore che allenerà una grande squadra»), usa il termine «empatia», e i più si guardano attoniti: «Empatia? Che roba è? Questo qua studia la nostra lingua da una vita».

«No», interrompe lui, «da un mese scarso.»

«Impossibile», diciamo noi.

«Sarà che sono intelligente: in fondo l’italiano, come il portoghese, è un idioma neolatino.» Sulla parola «idioma» cala il silenzio, il tipo con la pancia sogghigna e sibila: «Ve l’avevo detto», tronfio come uno che ha appena vinto una scommessa.

José, intanto, prosegue imperterrito: «Qui è terminato un siclo, adesso inizia un nuovo siclo […] Rispetto il lavoro di Roberto (Mancini, N.



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