Regalo di Natale by Maurizio de Giovann

Regalo di Natale by Maurizio de Giovann

autore:Maurizio de Giovann [Giovann, Maurizio de]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2013-12-12T00:00:00+00:00


Antonio Manzini

Buon Natale, Rocco!

Ad ogni colpo di straccio che passava sulle scale Adele sentiva tutti i suoi 66 anni. S’era fatta mentalmente il conto: sei piani, due rampe a piano, dieci scalini per rampa facevano centoventi scalini di marmo da pulire. Questo per la palazzina del civico 14. Poi mancavano ancora quelle del 12 e del 10 che aveva pure due piani in più. Più di 400 scalini, più di 400 colpi alla schiena. E tutto da finire entro la mattinata. Una a 66 anni se ne dovrebbe stare a casa a coccolare i nipoti, pensava Adele. Magari farsi una passeggiata e preparare il pranzo al marito. Ma Adele il marito non ce l’aveva più. Non che fosse morto. Era semplicemente sparito da 16 anni lasciandola a vedersela da sola con tre figli maschi. E oggi, a 66 anni, continuava a vedersela da sola con i tre figli maschi. Due a casa e il terzo che s’arrangiava. A fare cosa Adele non l’aveva mai capito. Nipotini neanche l’ombra. «Vuoi i nipotini ma’?» le diceva sempre Maurizio, il secondogenito. «E come li campo?».

«Come li campi?» gli rispondeva Adele. «Li campi facendoti il mazzo come me, che a quasi 70 anni ancora pulisco le scale condominiali!».

Strasch zac altro scalino, sciacqua lo straccio, strizza lo straccio, getta lo straccio sul marmo. Avanti, regolare lenta e continua verso il piano terra. Aveva finito la seconda rampa del sesto piano. Si stirò la schiena. Doveva passare al quinto. «E uno è fatto!» disse a bassa voce. Poi appoggiò le mani alla ringhiera e guardò in giù. Al piano terra a lavare i vetri del portone, le cassette delle poste e l’androne c’era Nabilah, una nigeriana di 44 anni alta un metro e ottanta con le spalle grosse come un giocatore di pallanuoto. Era l’unica della cooperativa a metterla di buon umore. Quando pensava a lei e ai suoi 7 figli laggiù in Africa, Adele si sentiva una privilegiata. «Nabilah» la chiamò dal quinto piano. Quindici metri più giù apparve la donna con il suo viso tondo e lucido. «Che c’è?».

Adele sorrise. «Finito qui ci facciamo un caffè?».

«Anche due! Però paghi tu!» e ridendo tornò a lavorare.

Strash zac altro gradino. Strizza lo straccio. Ributta lo straccio.

Un odore forte e penetrante. Improvviso. Qualcosa che Adele aveva sentito solo d’estate nelle strade di campagna le ultime volte che era andata a trovare i suoi a Subiaco. Annusò il secchio. Non era il secchio. Continuò a passare lo straccio. Man mano che scendeva verso il pianerottolo del quarto piano, l’odore si faceva più intenso. Ora c’era anche un sentore di uova marce misto a gas e all’olezzo di un bidone della spazzatura lasciato sotto il sole d’agosto. E poi quella inconfondibile punta acida e dolce che la prendeva allo stomaco, quella stessa della campagna d’estate, quella che hanno addosso i cani quando vanno a strusciarsi contro la carcassa di qualche animale. Lasciò la ramazza appoggiata al muro. Scese qualche gradino e arrivò al pianerottolo del quarto piano. C’erano tre interni.



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