Ottone by Xhenet Aliu

Ottone by Xhenet Aliu

autore:Xhenet Aliu [Aliu, Xhenet]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Codice Edizioni
pubblicato: 2019-05-02T22:00:00+00:00


9

Elsie

Quando rientrai in casa dal doppio turno al Ross mi sembrò di essere l’unica persona in tutta la zona est di Waterbury a non essere stata invitata alla festa nel nostro appartamento. Bashkim e Gjonni erano seduti alle due estremità del tavolo della cucina, mentre le altre sedie erano occupate da uomini che non avevo mai visto, tutti color cuoio, tutti con cicatrici a tagliargli le sopracciglia o le guance o il collo, come piatti fallati in un set di stoviglie. Qualcun altro aveva improvvisato posti a sedere di fortuna, come un frigo portatile Igloo che non era di nostra proprietà, una pila di elenchi telefonici rubati porta a porta dai vicini, una scatola di pomodori in umido formato industriale messa in verticale, chiaramente sottratta dallo stoccaggio a secco del Ross e quasi certamente destinata a tornare da dove era venuta.

«Bella, bellissima!» esclamarono gli uomini, perciò mi voltai indietro per vedere cosa stessero guardando ma poi capii che si riferivano a me. Quando mi voltai di nuovo verso di loro mi ritrovai circondata da labbra umide che cercavano di poggiarmisi sulle guance. Mi afferrarono le mani e provarono a infilarci delle banconote spiegazzate, ma non ero pronta a nulla del genere perciò i soldi fluttuarono verso il pavimento.

«Guardala un po’ come butta i soldi, è proprio una donna» disse Gjonni. Raccolse tutte le banconote e poi me le spinse tra le braccia, e io le tenni strette al petto come se stessi cullando un bambino. «Però è una brava donna, ha l’istinto materno» disse premendomi con la mano sulla pancia che era un po’ a palloncino sia per tutta la Pepsi che avevo bevuto sia per il futuro essere umano che ci abitava. Gli uomini risero, poi qualcuno disse qualcosa che non capii che li fece ridere ancora più forte mentre io volevo solo andarmene.

Guardai Bashkim e feci del mio meglio per sorridere.

«Non sapevo che avremmo avuto ospiti» dissi.

«Sono amici» disse. Vedevo il suo sorriso distorto attraverso una bottiglia di Heineken, ce n’erano talmente tante vuote sparse sul tavolo che persino la luce nella stanza aveva una tinta verdastra, come quando c’è una tempesta in arrivo. «Volevo che conoscessero la madre del mio bambino.»

Uno degli uomini sollevò una bottiglia verso il soffitto. Dal nulla comparvero macchinette fotografiche. Furono scattate foto.

«Të lindtënjëdjalë» disse l’uomo, e gli altri gli fecero eco. Të lindtënjëdjalë, dissero, non proprio all’unisono però, quindi le parole fecero il giro della stanza come in una specie di strambo coro scolastico.

«Significa “Auguri e figli maschi”» disse Yllka. Era in piedi accanto a me, e solo ora mi accorgevo delle altre donne sedute in salotto, probabilmente le mogli degli uomini seduti in cucina, con una ciotola di patatine che torreggiava intatta al centro del tavolino da caffè. Mi fissavano con uno sguardo che era al contempo annoiato e feroce.

«Vai dalle ragazze a presentarti. Yllka, presenta Elsie» disse Gjonni.

Era una tana di lupi. Con l’eccezione di un’anziana signora avvolta in uno scialle, avevano tutte folte chiome a incorniciargli a colpi di lacca le facce fameliche, e i nasi che si contraevano man mano che mi avvicinavo.



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