Racconti Romani by Alberto Moravia

Racconti Romani by Alberto Moravia

autore:Alberto Moravia [Moravia, Alberto]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
pubblicato: 2011-12-21T05:00:29+00:00


PERDIPIEDE

Ho cominciato a perdere piede subito, appena nato, per via del mio viso che manca completamente di mento. Non è una parte importante del viso, il mento, meno importante assai del naso o degli occhi, ma se vi manca, non so perché, tutti vi prendono per scemo. Basta, continuai a perdere piede restando orfano a tredici anni, e poi ne persi ancora andando a stare con una mia zia contadina in Ciociaria dove mi ero ridotto a vivere come una bestia, e poi ancora restando un giorno e una notte sotto le rovine della casa quando fu bombardata. Quindi guerra, tedeschi, alleati, fame, dopoguerra, borsanera, scatolette: non feci che perdere piede. Eh, se la vita è fatta a scale, come dice il proverbio, e c’è chi le scende e c’è chi le sale, io, queste scale della vita, non ho fatto che scenderle, sempre per colpa di quel mento che non c’era e avrebbe dovuto esserci. Le ho discese a tal punto che quando, un anno fa, trovai da dormire presso un portiere del centro di Roma e poi incominciai a campare metà di elemosina e metà di servizietti in quella stessa strada dove era la portineria, mi sembrò di salire, per la prima volta da quando ero nato. Non ci crederete, ma fu proprio la mancanza del mento a salvarmi: quella era una strada di grossi negozi di alimentari, come dire pizzicherie, bottiglierie, vapoforni, macellerie, drogherie, norcinerie, e tutti quei negozianti pieni di clienti avevano bisogno di qualcuno che portasse pacchi, ritirasse vuoti, andasse qua e là per commissioni. Vedendomi senza mento ma robusto quei bottegai ebbero compassione di me; e così ora con uno ora con un altro, mi feci parecchie poste e potei contare su un buon numero di mance. C’erano anche, nella strada, quattro o cinque tra osterie e trattorie; e anche gli osti, sempre per compassione del mento, mi davano ogni tanto una minestra. Avevo una camicia militare e un paio di pantaloni con le ginocchia rattoppate; qualcuno mi diede una giacca con i gomiti sfondati ma per il resto ancora buona; qualcun altro un paio di scarpe basse. Insomma, come mi dissi dopo un mese, ormai non perdevo più piede, anzi, decisamente, ingranavo.

Una strada, la gente la percorre in macchina o a piedi e gli sembra una strada come tutte le altre; ma a viverci, come facevo io, senza mai uscirne, dalla mattina alla sera, una strada è un mondo che non si finisce mai di approfondire.

In quella strada in cui conoscevo perfino i gatti, c’erano quelli che mi volevano bene, c’erano quelli che non mi volevano né bene né male, e c’erano quelli che mi volevano male. I negozianti e gli osti mi volevano bene perché ero servizievole e alla mano; il barbiere, la merciaia, il profumiere, il farmacista e tanti altri non mi volevano né bene né male perché io non avevo bisogno di loro e loro non avevano bisogno di me; finalmente un gruppetto di giovanotti che si davano appuntamento al bar della torrefazione mi volevano proprio male.



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