Senza intellettuali by Giorgio Caravale

Senza intellettuali by Giorgio Caravale

autore:Giorgio Caravale
La lingua: ita
Format: epub
Tags: i Robinson / Letture
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2023-03-15T00:00:00+00:00


3. Una storia lottizzata

L’uso politico della storia fatto dalle principali forze partitiche italiane nei primi decenni della cosiddetta Prima Repubblica ebbe inevitabili ripercussioni sui caratteri fondativi della Storia contemporanea, una disciplina accademica che si affacciò per la prima volta sulla scena universitaria italiana tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Come era forse inevitabile, lo studio e la ricerca universitaria del «tempo presente» assunsero, anche nella loro veste accademica, una forte coloritura politica. Sin dal primo concorso, bandito nel 1960 dalla facoltà fiorentina di Scienze politiche «Cesare Alfieri», la logica prevalente fu quella della spartizione delle cattedre in ragione delle appartenenze politiche. I nomi dei vincitori di quella prima «terna» – Giovanni Spadolini, Gabriele De Rosa e Aldo Garosci – erano facilmente riconducibili alle principali culture politiche dell’Italia di allora: rispettivamente quelle laico-liberale, cattolica e socialdemocratica-azionista. L’emblematica conventio ad excludendum del concorso fiorentino nei confronti dei comunisti (e socialisti) italiani fu presto sanata dai successivi concorsi, dai quali risultarono vincitori storici vicini al Pci come Ernesto Ragionieri, Gastone Manacorda e Renzo De Felice (Catania, 1968) e storici di estrazione socialista quali Gaetano Arfè ed Enzo Collotti (Trieste, 1972)30. Questa spartizione politica, persino partitica, delle cattedre universitarie di Storia contemporanea si rifletté inevitabilmente sulla rigidità di una griglia di studio e ricerca nella quale la disciplina rimase a lungo imprigionata: seguendo un binario quasi obbligato gli storici di estrazione socialista esercitarono un monopolio di fatto sulla storia del Psi, gli storici cattolici dedicarono tutte le loro energie a ricostruire le vicende della Dc e gli studiosi comunisti si occuparono in via esclusiva della storia del Pci. Come scrissero già nei primi anni Settanta due autorevoli storici, il limite di quella giovane disciplina accademica consistette proprio nella predilezione del legame con «il movimento politico, anzi politico-partitico, rispetto a ogni altro»31.

La lottizzazione delle cattedre universitarie di Storia contemporanea condusse nell’arco di poco tempo alla formazione di comunità accademiche politicamente omogenee che raramente ammettevano corpi estranei: i dipartimenti e le facoltà delle università italiane furono colonizzati rispettivamente da storici cattolici, comunisti, di origine azionista, socialisti, divenendo immediatamente riconoscibili anche all’esterno dei singoli atenei32. Inevitabilmente, l’approccio degli storici al proprio oggetto di studio, quando non esplicitamente apologetico, fu perfettamente in sintonia con la visione politica espressa in quel preciso momento storico dal partito di appartenenza (o di riferimento). Tale meccanismo innescò un processo di identificazione tra lo studioso e il proprio oggetto di studio destinato a produrre effetti distorcenti anche sul dibattito storiografico più specificamente accademico e, più in generale, sulla discussione pubblica e mediatica. Quando, per esempio, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, Renzo De Felice, storico reatino già iscritto al Pci fino al 1956, scelse di dedicarsi a una seria e approfondita ricerca d’archivio sul fascismo e in particolare sulla figura di Benito Mussolini33 – sottraendo il tema al monopolio di storici (e giornalisti) di destra, per lo più ex repubblichini sostenitori del Msi come Giorgio Pisanò –, l’accusa (indimostrabile) dei colleghi universitari e della stampa nazionale fu



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