Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo - Tomo IX by J.C.L. Simondo Sismondi
autore:J.C.L. Simondo Sismondi [Sismondi, J.C.L. Simondo]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2013-10-13T22:00:00+00:00
CAPITOLO LXXII.
Sforzi de' Milanesi per ricuperare la libertà ; Francesco Sforza si obbliga al servigio della nuova repubblica; sue vittorie sui Veneziani a Piacenza, a Casal Maggiore ed a Caravaggio.
1447 = 1448.
Da oltre quindici anni l'Italia era sconvolta da rivoluzioni di nuovo genere; vedevansi guerre incominciate senza motivi, trattate senza vigore, e sospese senza che la pace arrecasse verun vantaggio, alleanze contratte, rotte, rinnovate, e mille volte violate; la perfidia in tutti i rapporti politici era diventata la morale di moda; un pericoloso credito veniva accordata ai comandanti delle armate, mentre l'arte militare più non era nobilitata dal sacro motivo della difesa della patria; per ultimo ogni giorno nuovi capitani s'innalzavano ad un potere indipendente, trattavano coi principi da piccoli sovrani, ed in appresso perivano quasi tutti sul patibolo senza formalità di giudizio. Ma questo stato d'Italia così straordinario, così diverso di tutto ciò che lo aveva preceduto, da tutto ciò che seguì, apparecchiava la grande rivoluzione ch'ebbe compimento alla metà del quindicesimo secolo. Videsi in allora e per tutte queste cagioni il più avventurato di tutti questi avventurieri collocarsi sul primo trono d'Italia, gli Sforza succedere ai Visconti, un nuovo sistema d'equilibrio riunire il poter militare al civile, ed il condottiere, che conseguì la più magnifica ricompensa, fare scomparire tutti gli altri.
Lo Sforza ottenne con una insigne perfidia di succedere a suo suocero; ma il secolo era talmente corrotto ed abituato alla mancanza di fede della casa Visconti, di tutti i piccoli principi d'Italia, e dei papi, che questa mala fede più non risguardavasi come una macchia dalla maggior parte degli uomini. Quando Machiavelli diceva dello stesso Sforza, che non era trattenuto da timore o da vergogna di mancare ai suoi giuramenti, perchè i grandi uomini si vergognavano di perdere, non di guadagnare coll'inganno[279], egli esprimeva il sentimento di tutti i suoi contemporanei, più ancora che il suo proprio, e lo Sforza, che in cotal modo egli scusava, aveva nome d'essere anzi uno de' più generosi, de' più fedeli nell'amicizia fra tutti i principi del suo secolo. L'intima sua amicizia con Cosimo de' Medici, che i Fiorentini intitolarono il padre della patria, e che gli amici delle lettere risguardano come il ristauratore della filosofia platonica, faceva egualmente onore all'uno ed all'altro. L'amicizia dello Sforza veniva nello stesso tempo ricercata da Federico di Montefeltro, in appresso duca d'Urbino, da Lionello e da Borso d'Este, marchesi e duchi di Ferrara, e da Luigi Gonzaga, marchese di Mantova, allievo di Vittorino da Feltre. Il nome di questi principi venne illustrato dalla benefica protezione accordata alle lettere in sul declinare del quindicesimo secolo, ed a costoro può attribuirsi la scoperta della bella antichità , il risorgimento delle arti e della poesia. Francesco Sforza era degno d'essere loro associato, e noi avremo pur troppo frequenti occasioni di vedere che questi illustri principi in fatto di onore e di moralità non vanno meno di lui soggetti a censura. Non possiamo non compiangere un secolo in cui il sentimento del giusto e del vero era talmente indebolito, che
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