Storie del ghetto di Budapest by Giorgio Pressburger & Nicola Pressburger

Storie del ghetto di Budapest by Giorgio Pressburger & Nicola Pressburger

autore:Giorgio Pressburger & Nicola Pressburger [Pressburger, Giorgio & Pressburger, Nicola]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Natan

Il viaggio di Natan cominciò e finì – se queste cose hanno principio e fine – in una sera d’estate, quando le stelle trafiggono l’anima di paura. Fu compiuto senza passaporto e senza preparativi, senza intenzioni né speranze. Nemmeno lui, Natan, credette di arrivare così lontano e con tanta, prodigiosa facilità. La sua fu una rivolta e la controparte del povero, pallido ebreo dell’Ottavo Distretto era l’Eterno stesso, che sia benedetto il suo nome, in tutto il suo splendore e tutta la sua imperscrutabilità.

«Senza preparativi» ho detto. Natan non aveva certo fatto nulla, coscientemente, per essere protagonista di quella avventura. Però, a guardare bene, per tutta la sua vita non aveva aspettato altro.

Lo ricordo da ragazzo. Passava pallido per la strada segnato dalle crudeltà della guerra: le ultime cannonate le aveva udite delirante di febbre, torturato dalla polmonite. Un largo cappotto, ereditato dal fratello maggiore, svolazzava attorno al suo magro corpo, e una sciarpa spropositata, messa attorno al collo dalla madre apprensiva, nascondeva il suo volto dagli sguardi dei curiosi. Era il più malaticcio del quartiere e nel suo animo, fin dalla prima infanzia, momenti di estremo abbattimento e di straziante malinconia davano il cambio a sprazzi di irrefrenabile allegria e vitalità. Più di una volta l’ho trovato accasciato sul banco di scuola, crollato si può dire in se stesso, come se l’impalcatura delle sue ossa e delle sue forze vitali avesse ceduto. Guardava nel vuoto accigliato, incurante di ciò che avveniva intorno. Quando frequentava la terza classe della scuola elementare – all’età di dieci anni dunque, non di più – la sua fronte era già segnata da tre rughe orizzontali, profonde e marcate, singolari su quel viso liscio da bambino. «Non aggrottare la fronte quando parli, diventi vecchio anzitempo» gli ripeteva la maestra signora Margherita, che attribuiva le rughe soltanto a una cattiva abitudine. Come avrebbe potuto immaginare la maestra ciò che nascondevano quelle rughe? In realtà Natan aggrottava la fronte non senza motivo: parlare per lui costituiva una estrema fatica. Le frasi che pronunciava erano corte e dubbiose.

Figlio di poveri commercianti – l’oste Iontev di origine slovacca e sua moglie Deborah – Natan non aveva ricevuto una grande educazione. Il padre ogni tanto portava a casa un vecchio libro. Gli piacevano soprattutto i romanzi e offriva questi in lettura al figlio. «Bisogna farsi una cultura» diceva a Natan. I personaggi di quei romanzi – i più grandi della letteratura, da Tolstoj a Flaubert – sfilavano davanti alla sua memoria come se fossero carne e ossa, persone della sua vita di tutti i giorni: insignificanti, assurdi, incomprensibili. Pagine su pagine si sfogliavano nella sua mente, e volumi si aggiungevano a volumi. Ma il libro del mondo era chiuso a lui.

Natan si rifiutava di pensare. L’abisso dei pensieri lo spaventava. Quando si affacciava sul baratro di una intuizione, subito si traeva indietro, come per dire: «Questo mistero perché dovrebbe essere svelato a me? Chi sono io?» Aveva paura di vedere cose terribili e visioni proibite, attirarsi severissime punizioni o addirittura l’eterna dannazione.



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