Tutt'attorno la Sicilia by Folco Quilici

Tutt'attorno la Sicilia by Folco Quilici

autore:Folco Quilici
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788851151164
editore: De Agostini Libri
pubblicato: 2017-11-29T16:00:00+00:00


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Ancor prima delle sistematiche ricerche su resti di navi colate a picco durante gli sbarchi del 1943, molti si mossero a caccia di “ricordi di guerra” da vendere ai turisti. Conobbi allora un tizio che aveva intravisto nei fondali antistanti alla città un oggetto circolare. Liberato da fango e sabbia, parve compensare fatiche e accanimento benché non si trattasse – come si pensava – dell’oblò di un mezzo navale affondato durante gli sbarchi degli Alleati, ma di un oggetto assai più antico: il portabraciere di una nave naufragata al tempo in cui Gela era colonia greca.

Negli anni ottanta, con Luca Tamagnini, ho testimoniato e documentato il lavoro dell’archeologa Alice Freschi su un relitto di quel tempo, il cui carico si riteneva giustamente che provenisse dal bacino dell’Egeo. Merci imbarcate in diversi scali, tra i quali Atene.

Luca e io ci unimmo ai collaboratori dall’archeologa in un impegno di accanimento e fatica. Gli archeosub ancora non disponevano né di ROV (Remotely Operated Vehicle, un sottomarino a comando remoto) né di altri marchingegni automatici. Unico aiuto meccanico, una “sorbona”, pompa aspirante che libera da sabbia e fango quanto sepolto sul fondo.

Seguimmo i ricercatori a lungo, mentre i reperti venivano portati in superficie, numerati e classificati. Ognuno si riferiva alla posizione delle “ordinate” (le costole dello scafo), destinate a una sala del museo archeologico della città.

Non si trattava di resti tanto vetusti da poter venir paragonati a quelli «rapidi e neri» di pece celebrati nei versi dell’Iliade, con prua e poppa «ricurve come corna di bue». Il tagliamare di prora scolpito «a forma di testa d’ariete». Vantavano comunque due millenni d’età, come si dedusse dagli elementi studiati.

I resti furono classificati dagli esperti come parte di una nave da carico “cucita”, ossia composta da tavole tenute insieme da corde vegetali. Altro dettaglio, questo, che ricordava l’Iliade, dove si evoca il timore dei Greci per le navi rimaste in secco tanti anni, con il conseguente danneggiamento delle chiglie dovuto alla lunga esposizione al sole.

Partecipai più volte, nel fondale di Gela, alle prime operazioni su quel relitto, quando si strappavano da fango e sabbia i resti dello scafo e si andavano recuperando i reperti del suo carico: preziosi, come ceramiche con figure rosse su fondo nero, prodotte nell’Attica e nell’Egeo; oggetti in terracotta decorati da fiori di loto; un tripode bronzeo, con zampe leonine. Un lungo lavoro accanto ai protagonisti del recupero e delle successive e minuziose analisi dei resti. Sicché, anni dopo quelle immersioni, tornai a Gela per rivedere la nave greca che secondo i programmi sarebbe già dovuta essere riportata a galla ed esposta nel locale museo archeologico.

«E invece?»

«Il relitto era ancora sul fondo?»

Chiedono Lucio e Marco, ai quali racconto della mia (e di certo non solo mia) delusione quando, tornato a Gela decenni dopo ricerche e primi recuperi, ho chiesto notizie dei resti di quella nave, destinati a essere ricomposti a terra. Al museo «momentaneamente chiuso», non sapevano se e quando quel relitto e il suo carico sarebbero stati visibili.

Udendo le mie esclamazioni di



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