Tutto su di noi by Romana Petri

Tutto su di noi by Romana Petri

autore:Romana Petri [Petri, Romana]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2024-01-25T12:00:00+00:00


PARTE SECONDA

13

Ci volle un anno e mezzo di pianti, tante travolgenti e fantasiose malattie che sembrava dovessero portarla all’altro mondo a raggiungere il marito, tanti medici molto pazienti che venivano pagati lautamente per visitarla a casa, metterle sulla faccia quella provvisoria espressione da vacca grata e giurarle sui loro figli che non aveva niente. Era sana ma molto esaurita. Le ripetevano spesso che capitava dopo la morte di un congiunto. Io non potevo spiegare a ognuno di loro che lei era così da un pezzo. Sì, potevo, ma non ne avevo voglia.

Quando se ne andavano lei si ringalluzziva un po’, sgranocchiava qualcosa a pranzo, beveva pure mezzo bicchiere di vino bianco al quale aggiungeva (come avevano sempre fatto i suoi genitori) un cucchiaino di zucchero. Poi, all’improvviso, ma non per me che riuscivo a prevedere la caduta con un po’ di anticipo, i suoi occhi si annebbiavano, restavano a vagare nella stanza, senza posarsi su nulla. Passava un tempo non sempre calcolabile. Volendo fare una media posso dire che non superava mai l’ora. A quel punto si voltava verso di me, se non mi trovava mi chiamava ad alta voce, e quando finalmente mi vedeva diceva la solita frase:

«I medici non ci capiscono un’acca. Io sono malata e loro mi dicono che sto bene. Manica di imbecilli. Uno di questi giorni mi porti dai carabinieri che li voglio denunciare tutti, dal primo all’ultimo.»

Non cercavo nemmeno più di dissuaderla. Le rispondevo che ce l’avrei portata, e le medicine che mi aveva subito spedito a comprare venivano sostituite da altre. Tutte cose che aveva letto sui settimanali o che andava a cercare nell’enciclopedia. Decideva di avere il tale disturbo e ne scovava «i rimedi», come diceva lei.

Sulle medicine scartate, scrivevo pazientemente il nome della malattia corrispondente. Quando si dimenticava di averle scartate e tornava ad avere quella malattia, spesso gliele riproponevo. E non avevo dubbi, dopo averne ingollate un paio l’espressione da vacca grata per un po’ la rivolgeva a me. Certe volte, stringendomi una mano, diceva:

«Ti ricordi quando eravamo piccole?»

Io ero piccola, tu eri già mia madre, avrei dovuto dirle. E invece le rispondevo di sì, che me lo ricordavo. Erano stati i nostri tempi migliori.

Dopo un anno e mezzo, però, si alzò dal letto, si guardò allo specchio e trovandosi molto più magra e invecchiata, mi disse che doveva porre rimedio a quella pericolosa situazione se non voleva rimetterci le penne.

Nel momento in cui cominciò a piangere di meno vennero allestiti gli altarini. Il maledetto puttaniere che doveva crepare era diventato un santo. La casa sembrava una santeria. Foto e candele votive si moltiplicavano agli angoli sfruttabili della casa. Passavano un po’ di giorni, ed ecco un nuovo altare. Aveva scoperto le mensole. Non so quante se ne fece mettere da mio fratello. Alla sofferenza dei dolori, alle umiliazioni e ai tanti tradimenti subiti, si aggiunse l’esplosivo opposto: la santità. Camminava per casa e a ogni altarino si fermava, si faceva il segno della croce, accarezzava almeno una fotografia e gli parlava:

«Ciao amore mio bellissimo.



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