Umanisti italiani by AA. VV

Umanisti italiani by AA. VV

autore:AA. VV. [VV., AA.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2022-10-10T12:00:00+00:00


IX.

Dove dichiara in che modo quei quattro attributi si trovino in Dio. Esaminiamo invece in che modo questi quattro attributi si trovino in Dio. Essi non gli appartengono dal punto di vista di ciò che è causa, perché Dio non ha cause; lui stesso, infatti, è causa di tutto ciò che è e non dipende da alcunché. È invece possibile considerarli in Dio sotto un duplice aspetto: o in quanto Egli è in sé, o in quanto è causa di tutte le altre cose. Tale distinzione, per quanto attiene al presente argomento, non riguarda le cose create, perché Dio esiste senza che vi sia una causa, mentre le cose create non possono esistere se non ricevono il loro essere da Dio stesso. Pertanto concepiamo Dio, in primo luogo, come interezza di ogni atto e pienezza dell’essere stesso. Da questo dipende tanto il fatto che Dio è uno, quanto l’impossibilità di concepire un suo opposto (vedi tu stesso quanto sia lontano dal vero chi postuli l’esistenza di piú principî primi e di piú dèi!) Immediatamente è anche il sommamente vero. Che cosa ha, infatti, l’Essere stesso, che appare «essere» e non «è»? Perciò Dio, senza alcun dubbio, è la verità stessa. Ma sarà anche la bontà stessa. Sono tre, infatti, le condizioni proprie del bene, come scrive Platone nel Filebo, e cioè che sia perfetto, che basti a se stesso e che sia da desiderare. Ma ciò che concepiamo in tal modo sarà perfetto – perché niente mancherà a chi è tutte le cose; basterà a se stesso – perché nulla mancherà a chi possiede quel bene in cui si trova tutto; sarà infine desiderabile – perché da quello e in quello è tutto ciò che è possibile, a qualunque titolo, desiderare. Dio, dunque, è pieno e integro essere, indivisibile unità, verità che non cede e bontà perfettamente contenta. Questa, se non erro, è la celebre tetraktys su cui Pitagora giurava e che definiva «principio della natura in perenne movimento»58. Abbiamo dimostrato, infatti, come questa quaternità, che è un unico Dio, sia principio di tutte le cose. Noi però giuriamo anche su ciò che è santo, inconcusso e divino; ma, cosa c’è di piú fermo, di piú santo e di piú divino di questo?

Se poi assegniamo questi quattro attributi a Dio in quanto Egli è causa di tutte le cose, si inverte l’intero ordine. In primo luogo, infatti, sarà uno, poiché viene concepito in se stesso prima d’esser inteso come causa. In secondo luogo sarà buono, poi vero e infine ente; infatti, la causa che si dice finale precede quella esemplare e la causa esemplare precede quella efficiente (cominciamo infatti desiderando un tetto che ci protegga dalle intemperie per poi concepire l’idea di una casa, che infine costruiamo dando forma alla materia). Per questo, posto che il bene, come abbiamo detto nel precedente capitolo, concerne la causa finale, il vero quella esemplare, l’ente quella efficiente, allora a Dio, in quanto causa, spetterà innanzitutto l’attributo di bene, poi quello di vero, infine quello di ente.



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