Un giorno ti dirò tutto by Laura Buffoni

autore:Laura Buffoni [Buffoni, Laura]
La lingua: ita
Format: epub
editore: HarperCollins Italia

INTERMEZZO

ADOLESCENZA

SENZA NEANCHE ACCORGERMENE

Ho esaurito tutte le mie scuse e sono rimasta a corto di alibi, con in mano un vecchio libro da buttare.

Ma perché quel libro era sbagliato? Cosa lo allontanava dalla verità? Qual è stato il mio errore? Un rumore di fondo, aveva detto il mio amico scrittore, la volontà di dimostrare qualcosa, una prova di forza, un grido: guardatemi, amatemi.

Ho l’impressione che tutto sia fatalmente legato, il mio passato familiare, il trauma che ho vissuto da bambina, il vecchio libro sbagliato e quello che sto scrivendo adesso.

Continuo a guardarmi indietro per ricostruire gli eventi, torno a sfogliare le pagine della Smemoranda 1993/94 e scopro qualcosa che non sapevo: senza neanche accorgermene, a un certo punto sono stata felice.

Quell’anno mia madre si era tagliata i capelli cortissimi, portava un foulard rosso annodato in testa che con quel suo grosso neo vicino all’occhio le dava un’aria da pirata. La sua bellezza era eclatante, ma lei era troppo stanca e preoccupata per badarci, c’era troppo da fare. In quel periodo si alzava prima dell’alba, i vestiti li sceglieva con cura la sera precedente, ci metteva una goccia di Chanel n. 5 e li appendeva a una stampella all’ingresso per non disturbare. Insegnava a Colleferro, nella stessa scuola che anni dopo frequenterà Willy Monteiro Duarte, il ragazzo che nel 2020 è stato picchiato a morte da coetanei imbottiti di ideologie superomiste. Colleferro distava oltre cinquanta chilometri da casa e tra colleghi si faceva a turno per prendere la macchina; mia madre doveva guidare due volte alla settimana anche se aveva paura e le veniva il mal di testa. Al ritorno a casa si sdraiava al buio, se il dolore era troppo forte aveva i conati e qualche volta la sentivo correre in bagno a vomitare.

Quando non aveva mal di testa – più tardi si è scoperto che non era la paura della macchina a farglielo venire, ma gli sbalzi di pressione – mi piaceva aiutarla a sistemare i panni stirati e a piegare le lenzuola, nel frattempo provavo a convincerla che tutte le mie coetanee – tutte! – avevano il permesso di farsi lo shampoo riflessante color rame o almeno l’henné, mentre io neanche mi potevo depilare dalle ginocchia in su. Lei stringeva la sigaretta tra le labbra carnose e non rispondeva, poi aspirava avidamente strizzando gli occhi, senza usare le mani. Veniva voglia di fumare anche a me per il nervoso, non era giusto che fossi l’unica diversa. Non osavo però rubare sigarette dal suo pacchetto, non le sarebbe sfuggito che ne mancava qualcuna, vedeva tutto, sentiva tutto, anche se mi mettevo un pizzico della sua crema sulla punta del naso o una goccia di Chanel, oppure se ero infelice e pensavo qualcosa di storto. Cercava di tenere la barra dritta, tutto qui, e soprattutto un po’ d’ordine, per cui certi pomeriggi quando ero fuori apriva il mio armadio e buttava via i pastrani sbilenchi che compravo per mille lire ai banchi dell’usato di via Sannio, i sabati mattina insieme a Favela.

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