Un’ora con Heidegger. Oriente e Occidente (Mimesis) by Tomio Tezuka

autore:Tomio Tezuka [Tezuka, Tomio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mimesis

Shiki soku ku (“il fenomeno, cioè l’essenza”), ku soku shiki (“l’essenza, cioè il fenomeno”).

Cioè non ha soltanto una valenza esplicativa; evita il verbo essere, che non avrebbe senso né in cinese, né in giapponese, nelle diverse versioni del Sutra. L’assenza di un verbo nel lessico, e noi occidentali, come nel caso del verbo “manifestarsi” (hassuru), siamo spinti a includerlo nella frase perché abbia un senso, per noi. Per noi…ma sarebbe lo stesso in giapponese? Si potrebbe dire: “il fenomeno in quanto essenza; l’essenza in quanto fenomeno”, senza modificare il senso della frase, e si coglierebbe che non è tanto in atto una separazione, ma…Possiamo spingerci oltre, rintracciando un altro Sutra che, pure, è alla base del pensiero Mahayana (“Grande Veicolo”), che informa il buddhismo che Tezuka e Heidegger, nella diversità di approcci, hanno in mente: quello che per brevità è detto Il Sutra del diamante (Vajracchedika sutra). Vi si trova in embrione la stessa logica del Sutra del cuore, ma con altri termini, non avendo il sanscrito altro modo per dirlo, e questo è il modello della sentenza-tipo, che ricorre sempre allo stesso modo ma con esempi sempre diversi: “le cose stanno così”, poniamo, “perché non stanno così”;19 il che suggerisce un’altra traduzione del passo: “il fenomeno, e tuttavia l’essenza; l’essenza, e tuttavia il fenomeno”. La spiegazione viola ciò che sulla scorta di Aristotele chiameremmo il principio di non contraddizione, da ciò la difficoltà di intenderla, a prima vista, come logica, se partiamo dall’idea che la logica formale non vada messa in discussione. “Il fenomeno, e tuttavia sto parlando dell’essenza; l’essenza, e tuttavia sto parlando del fenomeno”; “il fenomeno, ma è l’essenza; l’essenza, ma è il fenomeno”. In cinese, la frase si riferisce a una implicazione: “se il fenomeno, allora l’essenza”, e viceversa. Ciò ci pone su una strada che siamo in grado di afferrare, ed è alla mirabile proposizione spinoziana deus sive natura che si è rinviati, dove sive esprime qualcosa che ovvero od ovverossia stentano a rendere, pur accostandovisi. Esiste una correlazione pratica, che ci permette di cogliere altre sfumature della questione.

È ferma convinzione di Nagarjuna, la cui centralità nel pensiero buddhista non andrebbe contestata, che l’accesso al piano convenzionale (samvriti satya), qui indicato come iro/shiki, va obbligatoriamente effettuato; la si dirà una concessione al dogmatismo, ma non è così. È su questo piano, dei nomi e del fare, l’agire accanto all’altro, che si farà anticamera per l’altro, non essendo l’altro, secondo Nagarjuna, raggiungibile con un balzo; tutto ciò è detto per schemi: siamo da sempre su questo piano supremo (paramartha), cioè Buddha da sempre, ma chi è attaccato al convenzionale lo ignora. E le opinioni (drishti), si sa, sono l’ostacolo principale alla liberazione: lo sostiene il Buddha storico, ma anche i suoi epigoni, anche nelle scuole che insistono sul piano convenzionale, forse per cautela. E poi, non si parla all’altro in base al suo livello di consapevolezza? Anche questo è un caposaldo del buddhismo per rendere conto di alcune “spiegazioni dottrinali” che, con facilità o rinunciando a

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