Urania 1404 - Colin Wilson - Specie immortale by Autore sconosciuto

Urania 1404 - Colin Wilson - Specie immortale by Autore sconosciuto

autore:Autore sconosciuto
La lingua: deu
Format: epub


lo masso semisepolto nel terreno erboso, senza dubbio uno dei massi menzionati dall’atlante. Fu come un fulmine. E di nuovo avvertii lo stesso senso di minaccia che avevo provato a Slonehenge. Mi avvicinai alla pietra, concentrandovi lo sguardo. La vibrazione era inconfondibile. Alzai gli occhi al tumulo. Questa volta non ebbi percezioni di sorta. Come se fosse calata una densa cortina di nebbia. Il tumulo lo vedevo abbastanza bene, ma era qualcosa privo di valore: non mi diceva nulla.

Littleway guardò l’ora.

— Se vogliamo arrivare al circolo per la cena, non abbiamo molto tempo da perdere.

Senza dubbio, non aveva "sentito” nulla. Oramai, virtualmente, potevo leggere nella sua mente.

— Prima permettetemi di salire sulla sommità del tumulo.

Seguimmo il piccolo sentiero che portava alla cima. Tutto sembrava innocuo e normale: un’auto che stava transitando sulla strada di Balli, un trattore che falciava il fieno nel campo vicino. Ma le mie facoltà di "intuizione” sembravano ridotte al minimo, come se fossi troppo stanco per qualsiasi sforzo.

In piedi, sulla sommità del monticello mi guardai attorno, verso Avebury, a nord, il Long Barrovv, un chilometro e mezzo a sud, la caliginosa calura di un giugno inglese, all’orizzonte. Mi assalì un improvviso desiderio di distendere i nervi, di sedermi nel fresco angolo di un piccolo bar a bere una capace e fresca pinta di birra. L’erba, illuminata dal sole al tramonto, sembrava d’oro. L'Inghilterra e la sua storia avevano un aspetto gradevole, verde e tranquillo.

Nello stesso tempo avvertii come un guizzo di sospetto nei riguardi di quel bisogno di riposo. Due anni prima mi sarebbe giunto del tutto gradito, uno di quei "momenti di respiro" che sembrano un dono degli dei. Ma nel frattempo avevo appreso a produrre le esperien-zc fattive, a volontà, a rendermi conto della pressione interiore che esercitavo. E questa volta cera qualcosa che non andava, un soffio di ingannevole confidenza. E mi sentivo vagamente seccalo daH’affievolimento della mia intuizione, dal senso di essere unicamente "in quel luogo, in quel momento”. Mentre stavamo ridiscendendo, feci uno sforzo improvviso per scacciare quella stanchezza della volontà, per afferrare che cosa si nascondesse nella terra che calpestavo. E per un attimo ci riuscii. E quello che intrawidi mi agghiacciò come se fossi caduto nel l’acqua gelida.

"C’era qualcosa laggiù” sprofondato sotto i miei piedi. In un secondo capii: gli scavi non avevano mai dissepolto il "perché” di Silbury Hill, perché si trattava di qualcosa a una profondità tale che nessun archeologo si sarebbe mai sognato di raggiungere, scavando.

Quindi l’intuizione svanì di colpo. Era come se la mia volontà fosse immobilizzata, dalla presa di un lottatore che mi impediva di muovere braccia e gambe. Lo strano era che, in un certo modo, mi sentivo "impersonale” come se fossi finito in un campo magnetico che mi teneva intrappolato. E difatti, quando ci incamminammo perii campo verso la strada, la tensione si attenuò, la mia mente potè tornare al passato, riacquistare coscienza di me stesso, situato in un punto determinato dei lunghi corridoi della storia.

Era evidente che Littleway non si era accorto di nulla.



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