Vedrò Singapore? by CHIARA Piero

Vedrò Singapore? by CHIARA Piero

autore:CHIARA Piero
La lingua: ita
Format: epub, mobi
ISBN: 84-9789-384-0
editore: EUROMEETING ITALIANA
pubblicato: 2004-05-14T16:00:00+00:00


VIII

Il mio ufficio sopra i tetti del convento non era contiguo agli altri della pretura, che si aprivano su di un grande atrio dal quale una scala di pochi gradini portava al luogo dove ero stato confinato, cioè ai “piombi” dell’antico palazzo, ai sottotetti: una decina di stanze allineate lungo un corridoio, dove erano sistemati gli archivi, i corpi di reato, le raccolte dei massimari, delle leggi e dei decreti, fra le quali si trovava ancora il Codice Napoleone, il librone della Torah sul quale una volta giuravano i testimoni di religione ebraica e i codici austriaci.

Lassù non saliva mai nessuno, tranne Jacona, quando mi portava qualche lavoruccio da fare o l’ufficiale giudiziario Buonatesta, un napoletano infido che era ritenuto la spia del pretore Anatriello.

«C’è una ragazza», mi disse un giorno Jacona, fermandosi a sedere davanti al mio tavolo «che si interessa di lei. La vede passare sotto il suo balcone quando esce dall’ufficio e va al caffè».

Restai colpito. Jacona, che capì d’avermi incuriosito, si offrì di farmela conoscere. Era la figlia di un ricco commerciante suo amico e gli sarebbe stato facile portarmi in casa sua.

«Vale la pena», disse «perché non è brutta. In quanto al resto, è una delle ereditiere della città». Un pomeriggio, all’uscita dall’ufficio, invece di andare al caffè salii con Jacona dalla ragazza. La madre ci accolse con molta degnazione e ci offrì un tè. La figlia, seduta al centro d’un divano, indossava un vestito di velluto marrone con un colletto di pizzo, giallo come la sua faccia. Si teneva diritta senza appoggiarsi allo schienale, con le mani stese sulle gambe avvicinate. Parlò pochissimo, con una voce fioca e solo per rispondere alla madre che voleva farle dire qualche cosa sulle lezioni di pianoforte che prendeva da cinque anni.

Per la strada domandai a Jacona se la ragazza fosse malata.

«È sanissima», rispose «ma sta sempre in casa o al balcone. È molto ricca e i suoi vorrebbero trovarle marito».

Il giorno dopo la Olga, che aveva già saputo della visita, mi disse che la ragazza era una povera scema.

«L’ho capito anch’io», risposi. «Ma ci sono andato per accontentare il mio superiore».

Jacona il giorno dopo mi fece un paterno discorso: «Una donna sciocca o quasi, che vive in casa, contenta solo di avere un marito, senza ambizioni, stanca fin da quando si alza, è l’ideale per un uomo. Che vorrebbe lei? Una donna scaltra, bella, piena di voglie? Come potrebbe essere sicuro di non perderla? Io l’avevo una donna simile. E l’ho perduta. Me l’hanno portata via. Ci sono voluti degli anni di rabbia e di dolore prima che mi riuscisse di rimediare con una buona donna di qui, una contadina con un po’ di roba, buona, tranquilla, né bella né brutta. Perché una moglie bisogna averla. Altrimenti si finisce soli e disperati. Cosa aspetta lei? La felicità? Allora, della vita non ne capisce nulla».

Che la vita fosse qualche cosa di molto difficile e che bisognasse ridurla a grande semplicità per reggerla, cominciava ad apparirmi chiaro anche a Cividale, dove mi era sembrato di essere arrivato nel buono, nella polpa saporita dei miei anni.



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