Abate Carmine - 2015 - La felicità dell'attesa by Abate Carmine

Abate Carmine - 2015 - La felicità dell'attesa by Abate Carmine

autore:Abate Carmine [Abate Carmine]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788852068492
Google: 0PqYCgAAQBAJ
editore: Edizioni Mondadori
pubblicato: 2015-10-12T22:00:00+00:00


30

Il sogno di Leonardo

Leonardo? Era partito per la mala parrera più felice del solito, quel sabato mattino, raccontò la madre saltando dall’arbëresh all’inglese e viceversa, come le succedeva quando era confusa e sofferente: «Kish vatur te móga parrera, he was happier than usual that Saturday morning».

Avevano fatto colazione insieme, lei e Leonardo, cosa che accadeva raramente, pane fresco e fichi invernali, quelli neri a goccia, succo di arancia, più il caffè mericano portato da Jon al primo ritorno, che bevevano solo loro a Hora, nei giorni speciali. Infatti, poco prima, la madre gli aveva letto la lettera di Franceschina che annunciava la nascita del primo figlio e Leonardo aveva aperto le sue belle labbra a sorriso, un sorriso dal cuore, confessando che era stracontento per la notizia e non vedeva l’ora di sposarsi e di diventare padre anche lui, ma che aspettava una risposta chiara e definitiva da Annina. «Però non voglio metterle fretta» aveva aggiunto, «ché sarebbe un sì per sfinimento, visto che pure la famiglia le fa pressione; io vorrei un sì d’amore, convinto, per sempre. Aspetterò, siamo giovani ancora.»

La madre era orgogliosa di questa decisione del figlio, perché ne coglieva il rispetto verso la futura moglie, cosa rara a quei tempi, il rispetto per le donne che aveva ereditato da suo padre Carmine Leto. «Fai bene, bir, a saper aspettare: hai la vita davanti» gli disse.

Lui infilò il morsello nello zaino militare, dopo averlo odorato, «uh, che profumo di frittatica con salciccia piccante», e salutò la madre con un bacio, come non aveva mai fatto prima di allora. Poi aggiunse che quella notte aveva fatto un sogno strambo: era andato da Jon, a Novayorka, e lo aveva trovato che dormiva a tutta carica, allora lui lo aveva vegliato in attesa che aprisse gli occhi, come faceva da piccolo quando il fratello era malato, gli aveva pure cantato una filastrocca che ora non si ricordava, ma quello dormiva tosto, con il respiro forte di chi è stanco assai e deve recuperare le forze con il sonno. «Alla fine, ohj ma’, a raprire l’occhi sono stato io» concluse sorridendo, «perché ho sentito una puzza da vomito, tipo frutta marciesciùta o carne andata a male. Ho sgargiato la finestra per non vomitare e un venticello dal buon odore di ciclamini, di cui è pieno il bosco di ilici in questi giorni, mi ha rallegrato il naso e la mente.»

Leonardo era dunque partito. Felice. E i brividi avevano attraversato Jon in lungo e in largo. Il resto, la madre lo aveva saputo da un responsabile della parrera, forse il capo, un uomo alto e imbarazzato di Shin Kolli.

All’ora della scapolata del primo turno, i minatori avevano gridato: «Fuoco, fuoco!», prima di sparare le mine. Era il segnale convenuto. A quel grido, tutti gli operai prendevano di corsa la via dell’uscita. Era sempre così: i minatori aspettavano dieci minuti dopo il primo avviso, continuavano a urlare: «Fuoco, fuoco» a turno o in coro, e poi sparavano tranquilli. Si sentiva un rimbombo di



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