Born to Run by Christopher McDougall

Born to Run by Christopher McDougall

autore:Christopher McDougall [McDougall, Christopher]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori


a. J. Kerouac, I vagabondi del Dharma, trad. it. di Nicoletta Vallorani, Milano, Oscar Mondadori, 1975, pp. 222, 224. [NdT]

XXIII

Arrivammo ansimando a Creel ben dopo il tramonto; l’autobus avanzò sussultando fino alla fermata, dove frenò con un sibilo che sembrava un sospiro di sollievo. Guardando dal finestrino, vidi lo spettrale vecchio cappello di paglia di Caballo alzarsi e abbassarsi nell’oscurità.

Non potevo credere che fossimo riusciti ad attraversare il deserto di Chihuahua senza nessun problema. Normalmente le probabilità di attraversare il confine e prendere quattro autobus di fila senza che nessuno di essi abbia un guasto o arrivi con mezza giornata di ritardo sono più o meno le stesse di vincere a una slot machine di Tijuana. Praticamente in ogni viaggio attraverso il Chihuahua è matematico che qualcuno verrà a consolarvi ripetendovi il proverbio locale: «Niente va secondo i piani, ma alla fine tutto si aggiusta». Il nostro viaggio, invece, finora era andato liscio, dimostrando di essere a prova di pazzi, di alcolizzati e di cartelli della droga.

Naturalmente questo fu prima che Caballo incontrasse Ted lo Scalzo.

«CABALLO BLANCO! SEI TU, VERO?»

Prima ancora che potessi farmi strada per uscire dall’autobus, sentii una voce esplodere come un cannone da assedio. «TU SEI CABALLO! FICHISSIMO! Puoi chiamarmi MONO. LA SCIMMIA! SONO IO, LA SCIMMIA. È il mio spirito animale…»

Quando scesi, trovai Caballo che fissava incredulo Ted lo Scalzo. Come avevamo avuto modo di scoprire durante il lungo viaggio in autobus, Ted lo Scalzo parlava come Charlie Parker suonava il sassofono: prendeva al volo ogni imbeccata e partiva con un’improvvisazione torrenziale impressionante, respirando a quanto pareva con il naso mentre il flusso ininterrotto di parole continuava a uscire dalla bocca. Nei nostri primi trenta secondi a Creel, Caballo fu investito da una quantità di parole superiore a quelle che aveva sentito in un anno intero. Provai una punta di compassione (ma solo una punta). Avevamo ascoltato una compilation di Ted lo Scalzo senza interruzioni per le precedenti quindici ore: adesso toccava a lui.

«… i Tarahumara sono stati una GRANDE ispirazione, per me. La prima volta che ho letto che potevano correre in sandali per 160 chilometri, questa rivelazione fu incredibilmente scioccante e SOVVERSIVA, incredibilmente controintuitiva rispetto a quello che pensavo fosse NECESSARIO perché un essere umano riuscisse a correre per quella distanza, tanto che mi ricordo che pensai: “Ma che DIAVOLO! Come DIAVOLO è possibile?”. Quella fu forse la prima CREPA NEL MURO: mi resi conto che FOOORSEEE i moderni marchi di scarpe da corsa non avevano tutte le risposte…»

Non c’era neanche bisogno di ascoltarlo, Ted lo Scalzo, per apprezzare quel frullatore di pensieri che era la sua mente: bastava guardarlo. La sua tenuta era un incrocio tra quella di un monaco guerriero tibetano e quella di uno skater alla moda: pantaloni da kickboxing con un cordoncino in vita, gilet bianco aderente, ciabatte infradito giapponesi, amuleto d’ottone a forma di scheletro che gli penzolava in mezzo al petto e bandana rossa annodata al collo. Con la testa rasata, il fisico di cemento, gli occhi che



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