Buzzati Dino - 1984 - Paura alla Scala by Buzzati Dino

Buzzati Dino - 1984 - Paura alla Scala by Buzzati Dino

autore:Buzzati Dino [Buzzati Dino]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788852098130
Google: Vvq0DwAAQBAJ
editore: MONDADORI
pubblicato: 2019-11-20T23:00:00+00:00


La canzone di guerra

Il re sollevò il capo dal grande tavolo di lavoro fatto d’acciaio e diamanti.

«Che cosa diavolo cantano i miei soldati?» domandò. Fuori, nella piazza dell’Incoronazione, passavano infatti battaglioni e battaglioni in marcia verso la frontiera, e marciando cantavano. Lieve era ad essi la vita perché il nemico era già in fuga e laggiù nelle lontane praterie non c’era più da mietere altro che gloria: di cui incoronarsi per il ritorno. E anche il re di riflesso si sentiva in meravigliosa salute e sicuro di sé. Il mondo stava per essere soggiogato.

«È la loro canzone, Maestà» rispose il primo consigliere, anche lui tutto coperto di corazze e di ferro perché questa era la disciplina di guerra. E il re disse: «Ma non hanno niente di più allegro? Schroeder ha pur scritto per i miei eserciti dei bellissimi inni. Anch’io li ho sentiti. E sono vere canzoni da soldati».

«Che cosa vuole, Maestà?» fece il vecchio consigliere, ancora più curvo sotto il peso delle armi di quanto non sarebbe stato in realtà. «I soldati hanno le loro manie, un po’ come i bambini. Diamogli i più begli inni del mondo e loro preferiranno sempre le loro canzoni.»

«Ma questa non è una canzone da guerra» disse il re. «Si direbbe perfino, quando la cantano, che siano tristi. E non mi pare che ce ne sia il motivo, direi.»

«Non direi proprio» approvò il consigliere con un sorriso pieno di lusinghiere allusioni. «Ma forse è soltanto una canzone d’amore, non vuol esser altro, probabilmente.»

«E come dicono le parole?» insistette il re.

«Non ne sono edotto, veramente» rispose il vecchio conte Gustavo. «Me le farò riferire.»

I battaglioni giunsero alla frontiera di guerra, travolsero spaventosamente il nemico, ingrassandone i territori, il fragore delle vittorie dilagava nel mondo, gli scalpitii si perdevano per le pianure sempre più lontano dalle cupole argentee della reggia. E dai loro bivacchi recinti da ignote costellazioni si spandeva sempre il medesimo canto: non allegro, triste, non vittorioso e guerriero bensì pieno di amarezza. I soldati erano ben nutriti, portavano panni soffici, stivali di cuoio armeno, calde pellicce, e i cavalli galoppavano di battaglia in battaglia sempre più lungi, greve il carico solo di colui che trasportava le bandiere nemiche. Ma i generali chiedevano: «Che cosa diamine stanno cantando i soldati? Non hanno proprio niente di più allegro?».

«Sono fatti così, eccellenza» rispondevano sull’attenti quelli dello Stato Maggiore. «Ragazzi in gamba, ma hanno le loro fissazioni.»

«Una fissazione poco brillante» dicevano i generali di malumore. «Caspita, sembra che piangano. E che cosa potrebbero desiderare di più? Si direbbe che siano malcontenti.»

Contenti erano invece, uno per uno, i soldati dei reggimenti vittoriosi. Che cosa potevano infatti desiderare di più? Una conquista dopo l’altra, ricco bottino, donne fresche da godere, prossimo il ritorno trionfale. La cancellazione finale del nemico dalla faccia del mondo già si leggeva sulle giovani fronti, belle di forza e di salute.

«E come dicono le parole?» il generale chiedeva incuriosito.

«Ah, le parole! Sono delle ben stupide parole» rispondevano quelli dello Stato Maggiore, sempre guardinghi e riservati per antica abitudine.



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