Capocrazia by Michele Ainis

Capocrazia by Michele Ainis

autore:Michele Ainis [Ainis, Michele]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2024-01-15T00:00:00+00:00


10. Le riforme bocciate

Sta di fatto che in Italia nessuna fra le proposte d’ingegneria costituzionale avanzate durante mezzo secolo ha mai ottenuto il placet delle camere, nessuna si è tradotta in una legge approvata a maggioranza assoluta, come vuole l’articolo 138 della Costituzione. Con due eccezioni, tuttavia. Due maxiriforme che riscrivevano larghe parti del testo licenziato dai costituenti, trasformandolo in una nuova creatura. L’una cucinata dalla destra, l’altra dalla sinistra, a un decennio di distanza. E però entrambe destinate a infrangersi sullo scoglio del referendum popolare, nonostante la grancassa che ne aveva salutato l’adozione.

Il primo episodio accadde nel 2005, mentre a Palazzo Chigi regnava Silvio Berlusconi. Fu la Devolution, la riforma federalista dello stato, da sempre bandiera della Lega. Ma fu anche il tentativo di superare il bicameralismo paritario, di ridurre il numero dei parlamentari, di mitigare il ruolo della magistratura, d’arginare i “ribaltoni”, e in conclusione di rafforzare il primo ministro, correggendo 52 articoli della Costituzione, e aggiungendone altri 3 per sovrapprezzo. Quella riforma venne propiziata dal “patto del salame” tra Gianfranco Fini e Umberto Bossi, la pace finale dopo tante liti fra i due alleati di governo, siglata per l’appunto di fronte a un caminetto e a una tavola imbandita. E il 16 novembre 2005 il senato ingoiò il salame con uno sventolio di fazzoletti bianco-rosso-verdi agitati dalla sinistra verso i banchi della destra, e per contraccambio dalla destra verso la sinistra, mentre a loro volta i deputati siciliani inalberavano lo storico vessillo giallorosso della Trinacria, che qualcuno scambiò per la bandiera della Roma: il derby del tricolore. Ma a quanto pare il pubblico sugli spalti non aveva gradito troppo lo spettacolo, giacché nel referendum confermativo del giugno 2006 i no (61,29 per cento) prevalsero di gran lunga sui sì (38,71 per cento).

D’altronde, a leggerla tutta, c’era bisogno di un ombrello. Da quella riforma, infatti, cadeva una pioggia di 8533 parole, una grandinata di rinvii dall’uno all’altro articolo, un diluvio di combinati disposti che rimbalzavano di comma in comma (e infatti il termine “comma” si ripeteva per 111 volte). Tanto per dire, il vecchio articolo 70 se la cava con nove smilze parolette: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere”. E non ha affatto impedito al parlamento d’approvare molte leggi, talvolta buone, talvolta censurabili. Viceversa il nuovo le rimpiazzava con un torrente di 585 parole, sicché da solo era ben più esteso dell’intera parte introduttiva della Costituzione, quella dove trovano spazio i principi di libertà, d’eguaglianza, di solidarietà, che fin qui hanno retto il nostro vivere comune. Effetto di un’incontinenza semantica e verbale da far invidia ai 137 romanzi progettati da Balzac.

E l’officina delle leggi? Un manicomio. Per alcune materie s’affacciava la competenza solitaria della camera; per altre quella del senato; per altre ancora una titolarità congiunta; senza dire poi delle eccezioni alla competenza principale, o senza dire inoltre del balletto fra una camera e l’altra quando l’una avesse voluto ficcare il naso negli affari che la seconda aveva già deciso. Giacché – per dirne una – la camera dei deputati veniva resa competente sul risparmio, il senato sulle casse di risparmio.



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