Democrazia, ultimo atto? by Carlo Galli

Democrazia, ultimo atto? by Carlo Galli

autore:Carlo Galli [Galli, Carlo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2023-09-07T12:00:00+00:00


Capitolo 4

La democrazia liberista

1. I principî.

Il punto è che la sfera pubblica allargata, il pluralismo, la centralità del lavoro, il compromesso socialdemocratico, non erano la sintesi finale delle contraddizioni moderne, sí transitori equilibri, tramontati negli anni centrali e finali dei Settanta. Ma il «secondo Occidente» – l’Occidente collettivo – non tramontò. Fu il capitalismo, e non il socialismo, l’elemento privato e non quello pubblico, a trovare in sé energia e immaginazione per implementare un nuovo modello di società, e un nuovo paradigma economico. Se si vuole identificare un anno di inizio del processo di trasformazione – operazione, peraltro, soltanto simbolica – si può indicare il 1973, l’anno di istituzione della Commissione trilaterale, il cervello analitico del neoliberismo, ai cui studiosi (europei, americani, giapponesi) si deve la tesi della insostenibilità economica e politica della democrazia a contenuto sociale. È anche l’anno del colpo di Stato in Cile, e del primo esperimento, ancora locale, di aperta pratica del neoliberismo.

Il paradigma dei «Trenta gloriosi», grosso modo keynesiano, andò in crisi sotto i colpi della stagflazione e della disoccupazione. La causa stava tanto in shock esogeni – l’inflazione generata dalla guerra in Vietnam, l’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio in seguito alla guerra del Kippur dell’ottobre 1973 – quanto nei costi delle burocrazie pubbliche (la «crisi fiscale dello Stato», dovuta alla sempre crescente esigenza di entrate, che invece diminuirono per l’affanno in cui era entrato il sistema capitalistico, con conseguente grave deterioramento dei conti pubblici) e degli aumenti salariali strappati alla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta.

La risposta neoliberista si fondò sulla ripresa del marginalismo e del monetarismo a opera di Friedrich von Hayek e di Milton Friedman (premi Nobel per l’economia rispettivamente nel 1974 e nel 1976), sulla critica alla teoria del valore-lavoro, e su un mutamento di finalità del paradigma economico, che da orientato qual era alla lotta contro la disoccupazione fu ridiretto a combattere l’inflazione, sulla base del principio che un regime di libera concorrenza avrebbe spontaneamente creato gli equilibri necessari al buon funzionamento del mercato e anche alla migliore allocazione delle risorse. È il singolo individuo, con le sue scelte razionali, il motore della società; ma deve essere chiaro che la razionalità umana è incapace di pianificare efficacemente un ordine, che è una razionalità contingente, aperta al rischio. Il nesso ragione-passioni, tendenzialmente collettivo, deve essere sostituito dal nesso, individualistico, interesse-emozione. L’intervento attivo dello Stato nell’economia, come attore o come pianificatore, è da eliminare (di qui la lunga teoria delle privatizzazioni), e con esso i suoi alfieri: partiti e sindacati, alla ricerca di elargizioni anti-economiche e inflattive, al fine di alimentare le loro burocrazie e di soddisfare le pretese dei loro iscritti e dei loro elettori. Lo Stato, lungi dall’essere «sociale», deve avere solo un ruolo di regolatore, da lontano, delle energie, degli «spiriti animali», della società (l’ordoliberalismo tedesco, invece, teorizzò, fino dai primissimi anni Trenta, lo «Stato forte», per instaurare e garantire la libera concorrenza). Lo Stato deve venire affamato (starve the beast!, «affama la Bestia», è uno



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