Diano Carlo - 2007 - Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici by Diano Carlo

Diano Carlo - 2007 - Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici by Diano Carlo

autore:Diano Carlo [Diano Carlo]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Philosophy, History & Surveys, Ancient & Classical
ISBN: 9788833917788
Google: Ail7GQAACAAJ
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2007-12-14T23:00:00+00:00


Luce e forma nell’esperienza dei Greci

La forma è di per se stessa luminosa, la luminosità non essendo altro se non la visibilità che ne costituisce l’essenza. Nella tradizione poetica ed artistica greca forma e luce fanno uno, e la luce non è esterna, è interna alla forma. Ma è particolarmente sensibile al limite, che ne è la parte più precaria: è come un’aureola, e vi crea una tensione che, annullando quanto è d’intorno, fa della figura una cosa assoluta. Numi ed eroi splendono e appaiono sempre aureolati di luce: ciò che li esalta sopra la finitezza della figura e li fa numi ed eroi, è essa stessa questa luce, l' aìgle, di cui Omero avvolge l’Olimpo.3

Per un greco essere ed essere nella luce (en phàei) sono sinonimi. Pindaro è tutto pieno di luce, e la personifica in Theia o «Divina» e la fa madre del Sole. «Madre del Sole - canta nell’Istmica v, - Theia dai molti nomi, in grazia di te gli uomini apprezzano sopra ogni bene l’oro dall’ampio potere. E le navi che s’inseguono sul mare, e i cavalli aggiogati ai carri nelle gare dai rapidi giri, per il pregio di cui li rivesti, sono mirabili a vedere». Ma più che la testimonianza dei poeti è importante quella degli artisti, perché più immediata. Ciò che, nell’assolutizzazione della figura, quale appare nelle opere del vi e del v secolo, distingue in proprio la plastica greca e ne costituisce il segno più direttamente sensibile, è la luce: che vien dall’interno, ed arde al limite e lo chiude. Esempio massimo ne è l’Apollo d’Olimpia. Ma non è necessario ricorrere alla statua d’un nume: basta una sola delle colonne del tempio d’Atena a Siracusa.

Tensione e vibrazione sono manifestazioni di forza: una luce che vibri è già dinamica e, come tale, epifanica: tocca, anche se in grado minimo, all’esistenziale e fa presente «l’altro». Ma esistenzialità, e cioè eventicità, e forma non si lasciano conciliare. Perché la forma non degradi a simbolo, è necessario che il centro resista e la vibrazione si fermi al limite. E' un equilibrio instabile, che non può esser raggiunto se non nell’attimo, l'exaiphnes di Platone e il kairòs di Pindaro (Pyth., ix, 78), e va riconquistato ad ogni istante. In questo equilibrio è l’essenza della «bellezza», di quella che Pindaro chiama charìs o «grazia», e che è inseparabile dalla forma (cfr. Ol., vi, 76): un equilibrio in cui la visione è «vissuta» come epifania, ma, contenendo quanto questa ha di eventico, mantiene l’essenzialità della cosa.

Di qui il thambos, che nelle descrizioni dei poeti greci accompagna la rivelazione della forma, dio o eroe che sia, e che, pure essendo nella sua radice il medesimo di quello che caratterizza la presenza del «sacro», se ne distingue in ciò che al «terrore» di cui quello è pieno, e in cui la visione s’annulla, sostituisce il thauma o la «meraviglia», e si fa positivo nel «piacere».

E la lingua ce ne dà la prova. La medesima charìs adoperata a significare la bellezza designa anche il piacere che essa procura.



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