Francesco De Gregori by Claudio Fabretti;

Francesco De Gregori by Claudio Fabretti;

autore:Claudio Fabretti; [Fabretti, Claudio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Musica
ISBN: 9788862316378
editore: eDigita srl.
pubblicato: 2014-11-03T23:00:00+00:00


8. Terra e acqua

E chissà quanto ho viaggiato

quante pagine ho strappato

quanto amore ho visto in giro

quanto ne ho dimenticato

Ma ho del sangue nei capelli

e non so chi mi ha ferito

E il treno sta partendo

e non è ancora partito.

(La testa nel secchio, 2005)

Insieme a Ivano Fossati, De Gregori è forse il cantautore che ha delineato più nitidamente una “poetica del viaggio”, del movimento nello spazio e nel tempo, alla ricerca di forme alternative di esistenza. Un universo lirico declinato in tutte le sue sfumature: dalla dimensione corporea dell’attraversamento solitario di chi consuma miglia e miglia di terra e acqua viaggiando “con le scarpe e con le orecchie e con il cuore” (Eugenio, 1979) a quella tutta metafisica di Ulisse o dell’Ismaele di Moby Dick (la melvilliana Il canto delle sirene, 1987), fino all’affresco corale e tragico del Titanic, che alla metafora della fine della Belle Époque unisce la cruda realtà dei migranti e del loro sogno di riscatto inabissatosi sul fondo dell’oceano.

“Una caratteristica della lingua delle canzoni di De Gregori”, si sottolinea nel volume Versi rock, “è la sistematica elaborazione di nuclei semantici e tematici. Nei suoi testi ricorrono il viaggio, la partenza e tutti i concetti con essi collegati (la stazione, il treno, la nave o il mare), e poi gli elementi naturali, rivisitati in maniera personale”1. Ma non è soltanto un espediente letterario, un apparato immaginifico: sempre, nel canzoniere degregoriano, il viaggio è esperienza introspettiva, ricerca interiore, motore di cambiamento. Dell’individuo e della realtà. Come scrive in Cuore di cane, la canzone regalata a Fiorella Mannoia nel 1989:

Viaggiare non è solamente partire

partire e tornare

ma è imparare le lingue degli altri

imparare ad amare

Non importa, allora, che a volte siano solo viaggi immaginari, magari dietro l’angolo di casa, come in Capo d’Africa, dove la meta non è qualche spiaggia esotica del continente magico, ma l’omonima via di Roma nascosta dietro il Colosseo. Perché quel che conta è il meccanismo mentale del viaggio: la ricerca di un’altra vita. “Una terra promessa, l’inferno o il paradiso, dove un giorno potremmo sbarcare”. O anche solo la fuga, lontano “quel tanto che basta per guadagnarci la nostalgia”, per “una donna che ci ama e che abbiamo abbandonato in un grande appartamento” oppure per “un fratello dimenticato che vive in un’altra città”.

Introdotta da un lungo prologo strumentale latineggiante e da un semplice cantato senza parole, poi sospinta da un bel giro di blues, Capod’Africa è la traccia iniziale di VIVA L’ITALIA (1979) e ne riassume al meglio lo spirito. Se infatti il disco è passato alla storia soprattutto per l’epica title track, che forma una sorta di capitolo a sé all’interno della scaletta, è indubbio che si tratti del lavoro più vicino a un concept album che De Gregori abbia mai realizzato. Un intrecciarsi di memorie, nostalgie e invocazioni legate a filo doppio al tema del viaggio. Un canzoniere solo in apparenza lieve, intriso di salsedine e malinconia.

Percorsi reali e immaginari che si affastellano anche nel montaggio a ritmo sudamericano di Buenos Aires. Torna l’idea del



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