Gli occhi di Sara (Nero Rizzoli) by Maurizio De Giovanni

Gli occhi di Sara (Nero Rizzoli) by Maurizio De Giovanni

autore:Maurizio De Giovanni [de Giovanni, Maurizio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2021-03-17T12:00:00+00:00


XXVI

Se qualcuno avesse potuto vederlo, sarebbe rimasto affascinato; la stessa fascinazione incantata di quando si assiste a una danza, o ai movimenti fluidi di un animale nel proprio habitat. Un pesce nella barriera corallina, per esempio; o un camoscio tra le rocce dell’alta montagna.

La casa di Andrea Catapano non era concepita per chi ci vedeva. Andrea non aveva mai voluto persone nel suo ambiente, faceva tutto da solo secondo precisi criteri: forme e non colori, spazi e non accoppiamenti, volumi e non tinte. Per la consuetudine dei vedenti alcune cose avrebbero potuto risultare pacchiane, stonate, mal assortite. Per lui, che danzava fra i suoi oggetti, tutto era a posto. Tutto era perfetto.

Nella più completa oscurità, ignaro del riverbero dei lampioni che penetrava dalle fessure delle tapparelle, Andrea si mosse verso lo studio. Se glielo avessero chiesto, avrebbe spiegato in che maniera vedeva. Conosceva e ricordava alla perfezione cosa voleva dire guardare un tramonto sul mare o il riflesso della luna sulla neve; era in possesso dei parametri per affermare che vedere è un concetto che può prescindere dagli occhi, e che se difficoltà ci sono per i non vedenti è perché il mondo viene disegnato da chi vede.

Il mondo esterno, è ovvio. Perché quello interno, la sua tana, era attrezzata per lui. E solo per lui.

Avrebbe spiegato, se gliel’avessero chiesto, che vedere può significare percepire un odore di legno o di cotone, di seta o di bambù, perché la materia conserva il sentore anche dopo anni che è stata trattata e trasformata. Avrebbe spiegato che un dito, il dorso di una mano, un braccio possono percorrere le forme sfiorandole appena e ricostruirle con precisione. Avrebbe spiegato che lo spostamento dell’aria, pure in un ambiente chiuso, ha un suono che un udito raffinato può catalogare e rammentare.

Ma non gliel’avrebbero chiesto. Aveva scoperto presto che nella gente “normale” sentir parlare un cieco della cecità genera disagio e senso di colpa, per cui prova a cambiare discorso in fretta dopo aver commiserato un po’.

Poco male, rifletteva Andrea. L’altrui sottovalutazione era una risorsa importantissima. Pensassero pure che lui e quelli come lui erano in una condizione di inferiorità. Sarebbe stato più facile fare ciò che voleva, tenendosi sottotraccia.

Giunto nell’ampio vano che faceva da studio e da soggiorno, si avvicinò al grande mobile che ricopriva due delle pareti, costruito a mano molti anni prima da un artigiano fidato. Una serie di scaffali alti pochi centimetri ospitava migliaia di astucci in plastica, sul cui dorso c’erano minuscole incisioni di punti e linee secondo un linguaggio non codificato noto solo a chi l’aveva inventato, cioè a lui.

Sapeva dove andare. Le dita scorsero una mezza dozzina di astucci e si soffermarono su uno. Lo tirò fuori e si avviò verso le due poltrone in pelle poste una di fronte all’altra. Sedette, prese il nastro e lo inserì nel registratore sul tavolino, dotato di un paio di cuffie di ultima generazione.

Si alzò e andò in cucina. Le cose andavano fatte secondo una ritualità definita. Prese un bicchiere dall’acquaio e lo portò con sé nello studio.



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