I cannibali dei Borbone by Luca Addante;

I cannibali dei Borbone by Luca Addante;

autore:Luca Addante; [Addante;, Luca]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia e SocietÃ
ISBN: 9788858146828
editore: edigita
pubblicato: 2021-11-15T00:00:00+00:00


III.

Ritorno a Napoli

1. L’eccidio di Giovan Vincenzo Starace (1585)

Le decine di casi esposti dimostrano come quei resti azzannati – sia cotti sia crudi – nel Novantanove napoletano non fossero un’eccezione, un unicum, una permanenza primitiva nei bassifondi periferici di un’Europa per il resto civilissima. Attestando pure ancora una volta, e da un punto di vista ben più ampio, come non si trattasse di «fantasmi cannibalici», di testimoni che calcavano la mano per gusto dell’orrido o del sensazionale oppure, ancora, per faziosità politica. Rarissime volte forse ciò poté avvenire. La casistica, però, è troppo ricca e diffusa nello spazio e nel tempo per pensare seriamente a chissà quale complotto, ordito nei secoli dei secoli. È un dato di fatto assodato, pertanto, che nell’Europa della prima e della piena età moderna esseri umani mangiavano altri esseri umani.

Se il fenomeno è europeo, nella stessa Napoli non era la prima volta che analoghe pratiche fossero attuate. Si può dubitare di un caso che sarebbe occorso verso la metà del Quattrocento, quando dei vivandieri avrebbero cucinato «carne humana» durante una guerra fra angioini e aragonesi, poiché «per la longhezza della guerra era venuto in estrema penuria di vettovaglie, e massimamente di carne». Così, sarebbero stati «molti i vivandieri, dell’una e dell’altra parte, i quali secretamente la notte pigliavano la carne de gli huomini morti», preparando con essa «certe vivande, come potaggi, pastelli, arosti et simil materie, le quali erano buone oltra modo da mangiare, [...] et le vendevano alli sfortunati soldati; et questa cosa durò longamente senza mai esser scoperti». L’episodio fu esposto in un testo del 1561 dal medico bolognese Leonardo Fioravanti, a cui lo raccontò «un certo Pasquale Gibilotto di Napoli, quale era huomo di età di novanta otto anni» e riferiva, a sua volta, eventi rivelatigli in vecchiezza dal padre, «che fu vivandiero nell’esercito di re Alfonso» d’Aragona1.

Trattandosi di fatti avvenuti suppergiù un secolo prima, dubitarne è lecito e anzi doveroso, anche perché l’informatore di Fioravanti pasticciava un poco nella sua narrazione. Collocava, infatti, gli eventi «nel tempo che fece guerra quello Giovanni, figliolo di Rinato duca d’Angiò, contro il re Alfonso di Napoli nel Regno, circa l’anno 1456». Mentre il duca Giovanni d’Angiò non guerreggiò contro Alfonso d’Aragona ma contro suo figlio, Ferrante, e la guerra avvenne qualche anno dopo, sicché questa confusione alimenta essa stessa i dubbi sulla ricostruzione. Senza dire della scarsa verosimiglianza dei fatti in sé e per sé; che peraltro Fioravanti poneva a fondamento della teoria secondo cui l’antropofagia dei soldati avesse provocato la sifilide (il «mal francese» o «morbo gallico»). Né si può sottovalutare il fatto che lo stesso Fioravanti fosse ritenuto da molti un ciarlatano, al punto che una volta fu arrestato per avere causato la morte di propri pazienti con cure sbagliate2.

Accertato da fonti coeve, molteplici e affidabili è invece un altro episodio avvenuto nella città partenopea, nel 1585. L’eccidio dell’eletto del popolo Giovan Vincenzo Starace, salito agli onori della storiografia grazie a Rosario Villari3. Starace era nato in un’agiata



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