Il colloquio di counseling by Vincenzo Calvo

Il colloquio di counseling by Vincenzo Calvo

autore:Vincenzo, Calvo [Calvo, Vincenzo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Psicologia, Aspetti della psicologia
ISBN: 9788815303189
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2011-10-14T22:00:00+00:00


4. Il silenzio nel colloquio

Quando si pensa al colloquio psicologico in generale o al colloquio di counseling in particolare, viene alla mente l’immagine di due persone che parlano. Questa immagine, pur corretta, tende a far passare in secondo piano due aspetti importanti che caratterizzano il colloquio stesso.

Il primo è che sono soprattutto i clienti a parlare, più che il counselor. Da un punto di vista meramente quantitativo, infatti, la maggior parte del tempo l’operatore, pur partecipando empaticamente e facilitando l’espressione del cliente con brevi interventi, resta in silenzio e ascolta il suo interlocutore.

Il secondo elemento importante riguarda il silenzio. Già la definizione di colloquio, inteso come scambio verbale fra due persone, implica che quando uno dei due membri della coppia «parla», l’altro ascolta in silenzio e viceversa. Il «silenzio», dunque, è parte integrante dello scambio verbale che si ha nel corso del colloquio [Lis, Venuti e De Zordo 1995].

Più in generale, il silenzio, inteso come pausa più o meno lunga nello scambio verbale, ha una grande rilevanza nel colloquio, in quanto può acquistare significati molto differenti. Significati che, quando si tratta del silenzio del cliente, il counselor deve imparare a riconoscere, gestire, rispettare e tollerare oppure, se necessario, ad affrontare in maniera diretta.

Il silenzio del cliente, ad esempio, può derivare da un momento di riflessione o di insight [ibidem]: il soggetto, di fronte ad una problematica che si sta trattando, sente il bisogno di fare una pausa a livello verbale e di riflettere. Nei momenti di silenzio, quindi, possono essere fatte importanti associazioni di idee oppure può essere raggiunta una diversa comprensione o una nuova consapevolezza circa l’argomento di discussione.

In questi momenti, è molto importante che il counselor rispetti l’esigenza di silenzio del cliente [Hough 1996]. Il counselor, quindi, dovrebbe riuscire a riconoscere la valenza riflessiva del silenzio e a tollerarlo, rimanendo a sua volta in silenzio ma «vicino» al cliente, resistendo alla tentazione di interromperlo per rassicurarlo, per fare delle osservazioni o delle domande di approfondimento.

Spesso il counselor ancora in formazione fa fatica a tollerare queste pause di silenzio e tende a reagire per riempire quelli che considera dei «vuoti». Secondo Hough [1996], la difficoltà di sostenere il silenzio può derivare dal fatto che non ne siamo abituati nella vita di tutti i giorni. Ai counselor poco esperti, inoltre, il silenzio del cliente può risultare ancora più difficile da tollerare, perché viene attribuito alla propria impreparazione e all’incapacità ad aiutare l’altro a risolvere i problemi [ibidem]. Di solito, è sufficiente un po’ di tempo e maggiore esperienza per superare questo tipo di vissuto negativo nei confronti del silenzio.

Secondo Hough [ibidem], rientra specificamente fra le abilità di counseling anche la capacità a prestare attenzione a tutti gli aspetti della comunicazione non verbale del cliente, fra cui il silenzio, e di rispondervi attivamente: il silenzio è spesso un aspetto del messaggio che il cliente desidera comunicare, non solo al counselor, ma anche a se stesso [ibidem].

Il silenzio del cliente, poi, può avere molti altri significati, non tutti dalla valenza positiva o costruttiva.



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