Il nostro ampio presente by Hans Ulrich Gumbrecht

Il nostro ampio presente by Hans Ulrich Gumbrecht

autore:Hans Ulrich Gumbrecht [Ulrich, Gumbrecht Hans]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2019-08-14T22:00:00+00:00


4. Perso nell’intensità focalizzata.

Sullo spettatore di sport (e sulle strategie di reincantamento)

Le reazioni di chi pratica sport possono diventare talvolta momenti ispiratori nella vita di uno studioso di scienze umanistiche. Perché solo i praticanti possono confermare che anche i nostri tentativi di costruzioni concettuali siano appropriati, e solo loro hanno un’autorità tale da giustificare lo sforzo di sviluppare ulteriormente certi pensieri, che avevano cominciato a emergere nelle nostre menti come audaci e, quindi, come vaghe intuizioni. Un momento intellettuale così decisivo si è verificato nel 1995, durante il convegno Il corpo degli atleti, organizzato dal Dipartimento di atletica e dal Dipartimento di letterature comparate dell’Università di Stanford. In questa occasione, il nuotatore Pablo Morales, alumnus di Stanford e vincitore di tre medaglie d’oro alle Olimpiadi, spiegò, con una certa disinvoltura, il motivo per cui, dopo essersi ritirato dagli sport e aver studiato legge, avesse nuovamente intrapreso la carriera agonistica a un’età che sembrava escludere a priori qualsiasi prestazione di livello mondiale nella sua disciplina: era l’irresistibile desiderio di sentirsi perso nell’“intensità focalizzata”.

La complessa formulazione di Morales si riferiva esplicitamente all’esperienza sia come spettatore sia come atleta. Ciò che gli diede l’impressione che questo stato di “intensità focalizzata” fosse qualcosa di indispensabile per la sua vita fu la trasmissione televisiva di una gara di atletica alle Olimpiadi del 1988: “Non dimenticherò mai di aver visto correre la grande velocista Evelyn Ashford: come anchor leg della sua squadra, pur partendo da dietro nell’ultima frazione della 4x100, vinse la medaglia d’oro per gli Stati Uniti. Dopo la gara venne mostrato un replay, questa volta con una telecamera focalizzata sul volto di Ashford prima, durante e dopo la corsa. I suoi occhi dapprima seguivano l’ovale della pista, poi fissavano il testimone e infine la curva di fronte a lei. Non sembrava avere alcuna consapevolezza della folla nello stadio o della competizione in corso, e ho notato che era totalmente persa nell’intensità focalizzata. Questo effetto mi aveva immediatamente colpito. Andai subito in cucina e, senza un’apparente ragione, iniziai a piangere. Era dalla mia mancata qualificazione che non avevo avuto una simile reazione emotiva. Ma mentre ci pensavo, nelle ore successive, capii a cosa avevo rinunciato: quella sensazione di perdersi nell’intensità focalizzata.”

Il resoconto di Pablo Morales mi ha aiutato a distinguere tre dimensioni della vita sportiva. In primo luogo, “perdersi” si riferisce a un particolare tipo di isolamento e di distanza degli eventi sportivi dalle attività della vita quotidiana, che possono essere messi a confronto con ciò che Immanuel Kant chiamava l’“assenza di interesse” per l’esperienza estetica. In secondo luogo, gli atleti e gli spettatori “si concentrano” su qualcosa (che è presente o che sta per verificarsi) che appartiene al campo delle epifanie, cioè agli eventi dell’apparizione: più precisamente, agli eventi dell’apparizione che mostrano corpi in movimento come una forma temporalizzata. Infine, sia l’esperienza sia l’aspettativa delle epifanie sono accompagnate – e potenziate – dall’aura dell’intensità, cioè dagli stati di una coscienza quantitativamente superiore per le nostre emozioni e per il nostro corpo.

Se descriviamo la vita



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