La chiave di Sara by Tatiana de Rosnay

La chiave di Sara by Tatiana de Rosnay

autore:Tatiana de Rosnay [de Rosnay, Tatiana]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788852022258
editore: Mondadori


Ci incamminammo verso il cimitero sotto un sole cocente, impietoso. Avvertii d’un tratto un senso di nausea e dovetti fermarmi a respirare. Bamber era preoccupato. Gli dissi di non farci caso, era soltanto mancanza di sonno. Ancora una volta apparve poco convinto, ma evitò ogni commento.

Benché il camposanto fosse piccolo, impiegammo parecchio a trovare qualcosa. Proprio quando stavamo per rinunciare, Bamber notò dei sassolini su una tomba. Una tradizione ebraica. Ci avvicinammo. Sulla lapide bianca, una scritta: “A dieci anni dal loro internamento, gli ebrei reduci dai campi di concentramento eressero questa stele in memoria dei loro martiri, vittime della barbarie nazista. Maggio 1941-Maggio 1951”.

«Barbarie nazista!» osservò Bamber sarcastico. «Sembrerebbe quasi che i francesi non abbiano avuto niente a che fare con questa storia.»

Sulla pietra tombale c’erano parecchi nomi e date. Mi sporsi in avanti per leggere meglio. Bambini di neppure due, tre anni. Bambini morti nel campo tra il luglio e l’agosto del 1942. Bambini del Vel’ d’Hiv.

Pur essendo profondamente consapevole che tutto ciò che avevo letto sul rastrellamento era vero, quel giorno di primavera fui molto colpita da quella tomba. Dalla sua concretezza.

Non avrei avuto pace finché non avessi scoperto cos’era successo a Sara Starzynski. E quello che i Tézac sapevano ed erano tanto riluttanti a rivelarmi.

Mentre tornavamo in centro, vedemmo un vecchio arrancare a fatica con in mano un cesto di verdure. Faccia tonda e rossa, capelli bianchi, sull’ottantina. Sapeva dov’era una volta il campo degli ebrei? domandai. Ci guardò con sospetto.

«Il campo?» chiese. «Volete sapere dov’era il campo?»

Annuimmo.

«Nessuno fa domande sul campo» borbottò. Sistemò i porri nel cesto evitando il nostro sguardo.

«Sa dov’era?» insistetti.

Un colpo di tosse.

«Certo. Ho vissuto qui tutta la vita. Quando ero ragazzo, non avevo idea di che cosa fosse quel campo. Nessuno lo nominava. Ci comportavamo come se non esistesse. Si sapeva che c’entravano gli ebrei, ma non si facevano domande. Avevamo troppa paura, così badavamo agli affari nostri.»

«Le è rimasto impresso qualche episodio riguardo al campo?» chiesi.

«Avevo quasi quindici anni nell’estate del ’42. Ricordo colonne di ebrei che arrivavano dalla stazione passando per questa strada. Proprio da qui.» Con il dito anchilosato indicò la strada su cui ci trovavamo. «Avenue de la Gare. Torme di ebrei. E un giorno si sentì un rumore. Un rumore tremendo. Eppure la mia famiglia abitava abbastanza lontano dal campo. Comunque sentimmo urla attraversare la città. Per tutto il giorno. Sentii i miei genitori parlare con i vicini. Dicevano che al campo avevano separato le madri dai figli. Il perché non si sapeva. Vidi un gruppo di ebree camminare verso la stazione. Anzi, non camminavano: barcollavano e piangevano, mentre venivano malmenate dalla polizia.»

Abbassò lo sguardo sulla strada, assorto nei ricordi. Poi raccolse il cesto con un brontolio.

«Un giorno» continuò «il campo era vuoto. Pensai: “Gli ebrei se ne sono andati”. Chissà dove. Smisi di pensarci. Non solo io, tutti. Non se ne parla. Non vogliamo ricordare. Addirittura, c’è qualcuno qui che non ne sa niente.»

Si voltò per andarsene. Avevo preso nota di tutto, lo stomaco di nuovo in subbuglio.



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