La cortina di ferro: La disfatta dell'Europa dell'Est. 1944-1956 by Anne Applebaum

La cortina di ferro: La disfatta dell'Europa dell'Est. 1944-1956 by Anne Applebaum

autore:Anne Applebaum [Applebaum, Anne]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2016-05-09T22:00:00+00:00


In Ungheria le autorità scelsero esattamente questa tattica, accompagnandola con la campagna di massa «per la pace» lanciata a livello nazionale nel 1948. Questo movimento pacifista, come s’è già osservato, non aveva nulla di simile a quelli spontanei, nati dal basso, che si sarebbero più tardi sviluppati in alcuni paesi dell’Europa occidentale: era organizzato dall’alto, dal governo, e beneficiava dell’aiuto dei militanti del Partito comunista, che promuovevano sfilate e gare per la pace, conferenze sulla pace e raccoglievano fondi vendendo «buoni per la pace». Ai giornalisti venivano commissionati articoli sulla campagna per la pace e ai grafici manifesti e opuscoli per promuovere la pace.

In Ungheria, come altrove, i militanti avviarono anche una grande raccolta di firme per una petizione a favore della pace. Essa veniva fatta circolare in scuole, uffici e fabbriche, dove i membri del partito gareggiavano fra loro su chi riusciva a ottenere il maggior numero di firme. Nella primavera del 1950 la campagna raggiunse un’intensità quasi isterica. Ai primi di maggio 24.583 «militanti per la pace» avevano raccolto per la petizione che chiedeva la pace nel mondo 6.806.130 firme, una cifra enorme in un paese che contava allora circa 9 milioni di abitanti.72

Anche ai sacerdoti fu chiesto di firmare la petizione, e alcuni lo fecero. Altri elusero la campagna o si tirarono indietro dicendo che non sapevano se i loro voti li autorizzassero a firmare una petizione politica. Il problema fu infine risolto dall’intervento dell’arcivescovo Grősz, che aveva sostituito Mindszenty, dopo il suo arresto, come primate d’Ungheria. Egli dichiarò pubblicamente che la Chiesa cattolica aveva sempre promosso la pace; tuttavia, solo il Vaticano aveva il potere di stabilire se un prete cattolico poteva aderire a un’organizzazione internazionale o firmare trattati. Di conseguenza, egli non avrebbe firmato né quella petizione per la pace né nessun’altra, e nello stesso modo dovevano comportarsi tutti i sacerdoti ungheresi.73

La dichiarazione mise in mano al Partito comunista e ai suoi simpatizzanti l’arma di cui avevano bisogno. I giornalisti del partito accusarono immediatamente la Chiesa di bellicismo. György Lukács, il filosofo ungherese che a volte collaborò con il Partito comunista e a volte no, definì la decisione dell’arcivescovo «ipocrita». La dirigenza del Partito comunista gongolava: la segreteria decise che, a quel punto, il movimento per la pace doveva essere «usato per mettere i comuni sacerdoti contro i loro superiori».74 Le pressioni sul clero inferiore s’intensificarono, e furono offerte ricompense a coloro che, sfidando l’arcivescovo Grősz, accettavano di aderire al «movimento per la pace».

Individuati in breve alcuni potenziali collaboratori, József Révai orchestrò il «raduno per la pace», che avrebbe segnato la nascita dell’organizzazione dei «sacerdoti per la pace». Tutto, in quel raduno, fu pianificato in anticipo, comprese le dichiarazioni conclusive, che sarebbero state infine firmate da 279 membri del clero regolare e secolare, il 2 per cento circa dei religiosi del paese. Anche l’umore dei partecipanti fu deciso in anticipo. In una riunione del Comitato centrale, János Kádár, che dopo il 1956 sarebbe divenuto il nuovo dittatore dell’Ungheria, dichiarò che «l’atmosfera dell’incontro non dev’essere né troppo conviviale né troppo austera»:

Occorre creare un clima di guerra.



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