La filosofia in ottantadue favole by Ermanno Bencivenga

La filosofia in ottantadue favole by Ermanno Bencivenga

autore:Ermanno Bencivenga [Bencivenga, Ermanno]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Filosofia
ISBN: 9788852053894
editore: Mondadori
pubblicato: 2014-07-22T22:00:00+00:00


La casa

«Esterrefatta» è la parola appropriata. La casa era rimasta esterrefatta. Abituata al silenzio e alla penombra, ai movimenti ovattati del suo singolo residente, un attempato signore sempre immerso nei suoi libri, aveva subito un primo shock quando un pomeriggio, senza che nessuno l’avesse avvertita, si erano presentati alla sua porta giovani di ogni età: ventenni e trentenni allegri e rumorosi e soprattutto svariati bimbi di tre o quattro anni, irritabili e sonnacchiosi, reduci da un lungo viaggio per mari e per monti. Erano tutti parenti del signore attempato, sembrava, e si erano installati nelle camere e nei bagni con aria da padroni, chiacchierando ad alta voce, pestando forte per terra, suonando musica dai ritmi incalzanti. Per la casa era stato un brusco cambiamento di passo.

Le sorprese erano appena cominciate. La mattina dopo i bimbi avevano dormito il sonno del giusto e superato l’irritazione; potevano dunque adagiarsi nel loro comportamento normale. Questa almeno era l’impressione che trasmettevano gli altri, gli adulti, che non si davano pensiero e non sembravano turbati. La casa, invece, era molto turbata. Perché i bimbi non si accontentavano di rotolare sé stessi e tutto quanto capitava loro a tiro sul pavimento, di correre all’impazzata da una stanza all’altra, di svuotare sistematicamente cassetti e armadi: sbattevano oggetti duri sulle pareti, per sentire che rumore facevano, aggredivano finestre e persiane, piatti e bicchieri, vasi e lampade, scombinavano i pezzi della scacchiera e le carte del mazzo nascondendoli per ogni dove. E a ogni nuovo assalto la casa soffriva, si struggeva, rimanendo appunto esterrefatta: incapace di comprendere quella che giudicava violenza gratuita, di conciliare mosse così caotiche con l’ordine specchiato che l’aveva dominata fino ad allora.

Questo suo atteggiamento durò qualche giorno. In realtà, senza rendersene conto, anche la casa era stata a lungo irritabile e sonnacchiosa, non perché avesse dormito poco durante un lungo viaggio ma perché aveva dormito troppo durante una lunga sosta. A un tratto la pervadevano vita, energia, intensità; e le aveva dato fastidio svegliarsi; ma aprì gli occhi e cominciò a rispondere alla situazione, da par suo. Accolse i bimbi, e anche gli adulti, nel suo grembo; attutì le loro testate e cadute, rese il terreno meno sdrucciolevole per le loro corse e le scale meno ripide per le loro arrampicate, s’inventò un opportuno tepore quando si strappavano i vestiti di dosso. E si sentì più grande, più forte, meglio calata nel suo destino di casa. Più partecipe e responsabile della gioia goduta dai suoi nuovi abitanti.

Non durò; non poteva durare. Dopo qualche altro giorno i nuovi abitanti accatastarono un imponente numero di valigie, pacchi e pacchetti, scatole e sporte in anticamera; fecero ancora un allegro baccano e poi svanirono, lasciando solo come prima l’attempato signore. Ritornarono il silenzio e la penombra, e i movimenti ovattati. La casa si leccò le ferite: i segni e le macchie qua e là, porcellane e soprammobili in mille pezzi. Insieme con l’insulto più grave: che nessuno la chiamasse più a una simile sfida, a ospitare da nido accogliente il vigore, l’esuberanza e il piacere di cui ora sapeva di poter essere compagna e complice.



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