La leggenda di Anita by Enrico Brizzi

La leggenda di Anita by Enrico Brizzi

autore:Enrico Brizzi [Brizzi, Enrico]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Ponte alle Grazie
pubblicato: 2024-01-22T13:38:57+00:00


XIII

Voci nella notte

Passagem da Barra, 1839

Mentre Anita faceva ardere il suo falò, a una manciata di miglia da lì si consumava la rotta degli imperiali.

L’assalto della cavalleria rivoluzionaria aveva scompaginato i loro ranghi, e ormai la strada maestra era in mano ai farrapos; se non volevano restare accerchiati dovevano prepararsi a combattere nuovamente, ma la milizia caramúru di Laguna ormai ne aveva abbastanza.

Dom Evandro, Ze Valdir e i loro uomini svicolarono dall’accampamento alla chetichella, chi a cavallo e chi a piedi, decisi a rientrare in città per la via degli acquitrini; puntavano ad arrivare al Passagem da Barra prima dell’alba per aggirare lo Stagno e trincerarsi sul ponte, così da sbarrare l’ingresso nell’abitato agli insorti.

Quando realizzarono di essere seguiti, il fazendeiro sbiancò. Se erano gli imperiali, li avrebbero trattati da disertori; se invece si trattava delle avanguardie rivoluzionarie, non avrebbero avuto diritto neppure a un processo. Un grido che sorgeva dal buio troncò ogni incertezza: «Fermi, in nome della Repubblica Riograndense! Arrendetevi o siete uomini morti!»

«Cosa facciamo?» domandò smarrito a Ze Valdir che gli cavalcava accanto.

«I fanti sono spacciati» mormorò quello, sfilando dalla cintura la pistola. «Lasciamoli qui a rallentare i farrapos e proviamo a salvarci».

«Fucilieri, in linea!» ordinò il fazendeiro. «Pronti a fare fuoco!», ma l’idea di sparare nel buio era talmente bislacca che la truppa si scompose.

«Vogliono andarsene senza di noi!» strillò il calzolaio Duarte. «Loro scappano e lasciano noi qui a morire! Dobbiamo arrenderci, invece!»

«Taci, codardo!» intimò dom Evandro, e tornò a ordinare: «In linea!»

«Non sparate, gente!» Duarte gridò a squarciagola nel buio. «Ci arrendiamo!», e lasciò andare a terra il fucile arrugginito. Ze Valdir sparò nel momento stesso in cui il calzolaio alzava le mani; lo colse in mezzo alle scapole, e mentre quello andava giù vide uscire dall’oscurità un uomo al galoppo, poi un altro e un altro ancora. Erano tutti neri, e sapeva troppo bene cosa facevano ai mercanti di schiavi quando li catturavano.

«Alla carica, Lancieri della libertà!» gridò il tenente Juvenal Da Silva, spronando nella notte il suo destriero, la lancia in resta e la sciabola pronta al fianco.

«Si salvi chi può!» gridò il fazendeiro, ma prima che desse a sua volta di sprone l’altro gli fu addosso.

La lancia di Juvenal lo passò da parte a parte; dom Evandro Espinosa cadde di sella a braccia spalancate, come l’esemplare di un insetto raro infilzato dalla spilla di un entomologo, e mentre piombava bocconi al suolo Juvenal sguainò la sciabola.

Si combatteva corpo a corpo, adesso, uomini appesi ai cavalli e cavalli imbizzarriti a calpestare altri uomini.

Ze Valdir si disse che ormai la compagnia era perduta; non gli restava che mettersi in salvo da solo, ma ormai Juvenal l’aveva riconosciuto.

Le due cavalcature si lanciarono una dietro l’altra per la via degli acquitrini, e come si affiancarono il tenente Da Silva vibrò un colpo di sciabola che colse il mercante di schiavi alla spalla sinistra.

«Questo è per la mia famiglia!» gridò tornando ad alzare l’arma. La lama baluginò sotto i raggi della luna, ma lo scarto improvviso di Ze Valdir mandò il colpo a vuoto.



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