La mala setta by Francesco Benigno

La mala setta by Francesco Benigno

autore:Francesco Benigno [Benigno, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858420331
editore: Einaudi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Dalbono insiste nel criticare il ruolo svolto «dalla fantasia degli scrittori, o meglio dei romanzieri della camorra». Egli si riferisce a Monnier, anzitutto, ma non solo a lui. È Alexandre Dumas il suo vero bersaglio: il grande romanziere francese, dopo aver scritto, come si è visto, in francese nel 1862, vari articoli sulla camorra, ne aveva infatti trattato largamente, sia nel suo volume sul brigantaggio del 186325, sia nelle sue pagine sui Borboni di Napoli pubblicate a puntate sull’«Indipendente» e poi raccolte in volume nel 186426.

È proprio Dumas a disegnare l’immagine della camorra quale setta onnipotente protetta dai Borboni, al punto da scrivere che «come il re Enrico III si pose a capo della Lega cosí il re Ferdinando era il vero capo della camorra»27. La camorra di Dumas è un’organizzazione criminale fantastica, vastissima (con assemblee di tremila persone) e centralizzata («hanno un governo a parte ed una legislazione fatta per loro»), pervasiva e vendicativa («la camorra, come il San Vehme alemanno, ha il suo tribunale invisibile che giudica e condanna senz’appello gli estranei o i membri stessi, quando trasgrediscono le leggi imposte dalle sue istituzioni»)28. Una camorra che le circostanze, vale a dire la comunanza in carcere con i patrioti liberali29, avrebbero spinto a svolgere un ruolo politico di primo piano.

Vi sono però anche, nei testi di Dumas, alcuni tentativi di avvicinare la figura concreta del camorrista e il suo modo di agire: se per un verso vi si reiterano quei soliti luoghi comuni che egli stesso ha contribuito a creare (come l’esistenza di un fantomatico codice scritto della camorra30 o l’irrealistica incompatibilità tra l’appartenere alla setta e il rubare)31, dall’altro egli descrive i camorristi da par suo, con efficaci pennellate di colore: Dumas invita il lettore a riconoscerli per la via, ponendo attenzione «alle giacche di velluto, alle cravatte di colore vivo, alle catene di orologio che loro s’incrociano per ogni verso sul petto, alle dita cariche d’anella fino alla prima falange, all’enorme randello alto tre piedi che fanno risonare sul lastrico». Si tratta in realtà, come si vede bene, dello stesso tipo di abbigliamento che Cossovich attribuiva alle fasce artigiane o al piú ai guappi. Dumas, però vi aggiunge un particolare interessante: un camorrista un poco agiato si individua soprattutto grazie agli oggetti di valore che porta appuntati al vestito e che tradiscono la sua attività di prestatore di denaro a pegno: «tutti i gioielli che gli brillano addosso son depositi che restituisce fedelmente se la somma prestata gli vien restituita nel termine convenuto ma che ritiene se il debitore è in ritardo»32. I camorristi, insomma, a sentire Dumas, si presentano anzitutto, sul teatro della strada, come degli usurai.

Descrizioni di questo tipo erano allora assai diffuse. Lo scrittore legittimista De Sivo, ad esempio, nel tratteggiare i camorristi ne fornisce un’immagine assai simile: «vestono giacca di velluto, calzoni stretti a ginocchio e larghi a piè; canna d’India in mano, anelli molti alle dita capelli lisciati, coltelli in tasca»; egli è però assai consapevole dell’uso esteso che si fa



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