La notte dell’oracolo by Paul Auster

La notte dell’oracolo by Paul Auster

autore:Paul Auster [Auster, Paul]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858401880
editore: EINAUDI
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


1 Da quel mattino sono passati vent’anni, e buona parte di quel che ci dicemmo si è perduto. Frugo nella memoria alla ricerca delle frasi mancanti, ma non riesco a trovare niente di piú che qualche frammento isolato, pezzi e bocconi avulsi dal contesto originario. Però una cosa di cui sono sicuro è che gli dissi il mio nome. Devo averglielo detto appena ebbe scoperto che ero uno scrittore, perché mi sembra di sentirlo mentre domanda come mi chiamo – nell’eventualità di imbattersi in qualche mio libro pubblicato. Io gli risposi «Orr», dicendogli per primo il mio cognome, «Sidney Orr». Chang non sapeva l’inglese abbastanza bene per capire la risposta. Intese Orr come or, «oppure», e quando scossi la testa e sorrisi, il suo volto sembrò accartocciarsi in una maschera di sconcerto e imbarazzo. Stavo per correggere l’errore ripetendo la parola una lettera alla volta ma, prima che riuscissi a parlare, i suoi occhi tornarono a illuminarsi e cominciò a remare freneticamente, a piccoli gesti, con le mani, come se la parola potesse essere oar («remo»). Scossi di nuovo la testa e sorrisi. Rassegnato, Chang diede in un sonoro sospiro e disse: «Terribile lingua questo inglese. Troppo complicata per mio povero cervello». L’equivoco si protrasse fino a che sollevai dal bancone il taccuino blu e scrissi il mio nome in stampatello sul frontespizio. Il gesto sembrò avere l’effetto desiderato. Dopo tanta fatica, omisi di spiegargli che i primi Orr d’America si chiamavano Orlovsky. Mio nonno si era abbreviato il nome per americanizzarlo – proprio come aveva inteso fare Chang aggiungendo quelle iniziali decorative ma senza senso – M. R. – al suo.

2 John aveva cinquantasei anni. Forse non era piú un ragazzino, ma non era neanche cosí vecchio da ritenersi tale, anche perché stava invecchiando bene, ne dimostrava meno di cinquanta. All’epoca lo conoscevo da tre anni, e la nostra amicizia era stata diretta conseguenza del mio matrimonio con Grace. Il padre di lei aveva studiato con John a Princeton negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, e sebbene operassero in campi diversi (il padre di Grace era giudice della Corte Federale Distrettuale a Charlottesville, in Virginia), erano sempre rimasti molto amici. Perciò io non lo conobbi nelle vesti dello scrittore famoso che avevo letto fin dal liceo – e che tuttora consideravo tra i migliori romanzieri americani. Fra il 1952 e il 1975 aveva firmato sei opere di narrativa, ma ormai erano sette anni abbondanti che non pubblicava piú nulla. John non era mai stato veloce, e un intervallo un po’ piú lungo del solito tra un libro e l’altro non voleva dire che fosse inoperoso. Dopo l’ospedale avevo passato molti pomeriggi in sua compagnia, e tra un colloquio e l’altro sull’argomento della mia salute (per cui aveva profonda preoccupazione e un’assidua sollecitudine), del suo figlio ventiduenne Jacob (che ultimamente gli dava seri grattacapi), e degli insuccessi dei derelitti Mets (nostra tenace comune ossessione), aveva alluso abbastanza sovente alle sue presenti attività da farmi credere che fosse tutto assorbito



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