La rivoluzione perduta by Marco Bresciani

La rivoluzione perduta by Marco Bresciani

autore:Marco, Bresciani [Bresciani, Marco]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Il Mulino/Ricerca
ISBN: 9788815142351
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2009-10-14T22:00:00+00:00


4. Comunismo sovietico e totalitarismo

Le competenze linguistiche, la vastissima cultura russa e l’ampia rete di relazioni con l’emigrazione menscevica e social-rivoluzionaria a Parigi offrirono a Caffi un punto di vista privilegiato sull’Unione Sovietica, che, dopo essere stata relegata ai margini della vicenda europea, con la crisi economica del 1929, era diventata un punto di riferimento per tutti i critici della tradizione e dell’esperienza liberale ottocentesca. Infatti, nei primi anni Trenta, chiunque si proponesse di cercare una soluzione alla crisi della società europea doveva confrontarsi con la realtà e con il mito di una società radicalmente diversa, l’Unione Sovietica del primo Piano quinquennale: riporre la fiducia nell’evoluzione del sistema sovietico era la principale, se non l’unica, forma di declinazione progressista in una stagione di imperante pessimismo culturale. Nel marzo del 1932, nel secondo dei «Quaderni di GL», Caffi espresse le sue Opinioni sulla Rivoluzione russa, prendendo le mosse dalla generale «curiosità» per il mondo sovietico e discutendo gli orientamenti degli austromarxisti, Otto Bauer e Friedrich Adler, e del teorico socialdemocratico tedesco, Karl Kautsky. In particolare, del comunismo, come del fascismo, analizzava la forza di attrazione e di mobilitazione ideologica sulle giovani generazioni degli anni Trenta, propense a riconoscerne il carattere rivoluzionario.

Che milioni di operai, e proprio di quelli più giovani, più assetati di solidale, temeraria azione, più generosamente sollevati contro l’oppressione sociale – siano attirati nelle file del comunismo, non è cosa che possa venire considerata da un socialista semplicemente un «deplorevole malinteso». Vero è che anche il fascismo recluta un buon numero di giovani, pure delle «classi popolari» e sarebbe sciocco negare la parte che illusioni magnanime, slanci di vero idealismo hanno in questo afflusso di gregari verso le tristi insegne del fascio o della croce gammata[119].

Caffi riteneva che proprio la crisi del movimento operaio internazionale, la sequenza di sconfitte del dopoguerra, i dilemmi e le lacerazioni tra socialismo europeo e comunismo staliniano, che avevano contribuito all’espansione del movimento nazista nella Germania weimariana – «fenomeni tutti o causati dal bolscevismo o connessi alla esistenza della sua dittatura» – non potessero essere «risolti in Russia»: «È fuori della Russia che la socialdemocrazia deve affrontarne la pratica risoluzione». Caffi dunque negava radicalmente quel mito sovietico, secondo cui l’URSS continuava ad essere, nonostante la degenerazione dittatoriale sotto Stalin, il campo di sperimentazione del socialismo. E spiegava:

Finché milioni di operai in Europa ed in America professeranno una fervida fede nel comunismo e nella infallibilità di Stalin, gli agenti del governo moscovita, le sue schiere di Komsomolcy, le squadre «attiviste» delle officine russe avranno ragione di sentirsi all’avanguardia della civiltà; servi sì, ma d’un insuperabile ideale. E finché il «mondo occidentale» con i suoi venti milioni di disoccupati, i cento miliardi annui di spese militari, i centomila chilometri di barriere politiche e doganali starà rantolando sotto la savia tutela dei «tollerati» Brüning e dei «non tollerati», ma vegeti Mussolini – non si vede proprio nessuna ragione perché alle masse proletarie l’URSS non appaia (specie di lontano) come un paradiso terrestre[120].

La maggioranza dell’emigrazione menscevica, nonché il



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