Lettera sull’«umanismo» by Martin Heidegger

Lettera sull’«umanismo» by Martin Heidegger

autore:Martin Heidegger [Heidegger, Martin]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2020-03-13T16:00:00+00:00


non è l’ornamento di un pensiero che, abbandonando la scienza, si salva nella poesia. Parlare della casa dell’essere non significa trasporre l’immagine della «casa» all’essere, ma partendo dall’essenza dell’essere, adeguatamente pensata, un giorno noi potremo pensare che cos’è «casa» e che cos’è «abitare».

Tuttavia non è mai il pensiero che crea la casa dell’essere. Il pensiero guida l’e-sistenza storica, cioè l’humanitas dell’homo humanus, nell’ambito dello schiudersi di ciò che è integro.

Con ciò che è integro, nella radura dell’essere appare ancor più il male, la cui essenza non consiste nella semplice cattiveria dell’agire umano, ma nella malvagità dell’ostile. Entrambi, l’integro e l’ostile, possono tuttavia essere essenzialmente (wesen) nell’essere solo in quanto l’essere stesso è il contenzioso. In esso si cela la provenienza essenziale del nientificare. Ciò che nientifica si apre nella radura come ciò che ha il carattere del «non». Quest’ultimo può essere espresso nel «no». Ma il «non» non scaturisce affatto dal dire no della negazione. Ogni «no» che non si confonda con l’ostinato insistere sulla forza impositiva della soggettività, ma che resti un «no» che lascia-essere proprio dell’e-sistenza, è già una risposta al reclamo del nientificare aperto nella radura. Ogni no è solo l’accettazione del non. Ogni accettazione riposa nel riconoscimento. Questo lascia venire a sé ciò verso cui va. Si ritiene che il nientificare non sia mai rintracciabile nell’ente stesso. Questo è vero finché si cerca il nientificare come se fosse qualcosa che è, una qualità dell’ente. Ma se si cerca così, non si cerca il nientificare. Anche l’essere non è una qualità che è, che si possa constatare nell’ente. Nondimeno l’essere è più essenteab di qualsiasi ente. Ma poiché il nientificare è essenzialmente (west) nell’essere stesso, noi non possiamo mai coglierlo come qualcosa che è nell’ente. Per di più, indicando questa impossibilità non si dimostra mai la provenienza del «non» dal dire no. Questa dimostrazione sembra reggere soltanto se si pone l’ente come ciò che è oggettivo rispetto alla soggettività. Da questa alternativa si deduce poi che, non apparendo mai come qualcosa di oggettivo, ogni «non» deve essere innegabilmente un prodotto di un atto del soggetto. Tuttavia, se sia il dire no a porre il non come un che di meramente pensato, o se sia il nientificare a reclamare il «no» come ciò che va detto nel lasciar essere l’ente, è cosa che non può mai essere decisa dalla riflessione soggettiva sul pensiero già impostato come soggettività. In tale riflessione non è ancora raggiunta la dimensione per porre adeguatamente il problema. Resta da chiedersi se, posto che il pensiero appartenga all’e-sistenza, ogni «sì» e ogni «no» non siano già esistenti nella verità dell’essere. Se è così, allora il «sì» e il «no»ac sono in sé già al servizio e in ascolto (hörig) dell’essere. In quanto tali, non possono mai essere loro a porre ciò a cui appartengono.

Il nientificare è essenzialmente nell’essere stesso e non nell’esserci dell’uomo pensato come soggettività dell’ego cogito. L’esserci non nientifica affatto in quanto l’uomo, inteso come soggetto, attua la nientificazione nel senso del rifiuto,



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