L'infinito tra le note by Riccardo Muti

autore:Riccardo Muti
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
editore: Solferino
pubblicato: 2019-01-23T16:00:00+00:00

Quando ero ragazzo, durante gli anni del liceo, credevo a quella che in filosofia viene definita «armonia delle sfere»: da sognatore pensavo appunto che l’universo fosse attraversato da suoni, e che miliardi di stelle non potessero fluttuare in cielo nel più assoluto silenzio. Che gli scienziati poi abbiano confermato in qualche modo le antiche teorie di Pitagora non importa, allora la fantasia mi portava a immaginare che quegli invisibili e per noi inudibili raggi sonori dovessero per forza aver attraversato la mente e l’anima di Mozart: non trovavo altre spiegazioni alla sua grandezza, al miracolo di un autore capace di creare una tale messe di capolavori.

Insieme a Verdi, è senza dubbio Wolfgang Amadeus Mozart l’autore cui ho dedicato la maggior parte del mio studio e della mia ricerca interpretativa. L’ho incontrato fin dai primi studi, come pianista, poi come direttore: il mio primo concerto al Comunale di Firenze si apriva con la Sinfonia in do maggiore K 338 per poi continuare con il Concerto in si bemolle maggiore K 450 – al pianoforte sedeva Sviatoslav Richter. L’inizio operistico invece è stato qualche anno dopo, nel 1979, sempre nel teatro fiorentino, con le Nozze di Figaro, alla regia il grande Antoine Vitez, scomparso troppo presto; la stessa opera che Francesco Siciliani, direttore artistico della Scala, nel 1981 volle affidarmi nel teatro milanese, dove potei misurarmi con il genio registico di Giorgio Strehler. Ancora un paio d’anni e, su invito di Karajan, avrei debuttato in Così fan tutte al Festival di Salisburgo. Per non dire della lunga consuetudine, quasi cinquantennale, con la Filarmonica di Vienna con cui oltre alle opere ho inciso diverse sinfonie, mentre con la Filarmonica di Berlino ho registrato il Requiem. A voler fare un bilancio, di Mozart ho diretto sette opere: la trilogia dapontiana, ma anche Idomeneo re di Creta, La clemenza di Tito, Il flauto magico e la rara «azione sacra» Betulia Liberata, sorprendente meraviglia di un compositore poco più che ragazzo.

Non c’è musicista che non debba fare i conti con Mozart: violinista, pianista, direttore, cantante… per tutti egli è pane quotidiano, irrinunciabile. Ed entrare in contatto con la sua arte, per un interprete, è un’esperienza sconvolgente: ci si trova di fronte alla bellezza incontaminata, e nell’avvicinarla è inevitabile il timore di «sporcare» tale perfezione, di incrinare quel senso di divino che aleggia su ogni sua creazione. Non c’è una pagina che sia frutto di esercizio accademico: i suoi manoscritti, quasi privi di correzioni e ripensamenti, testimoniano di un flusso creativo che sgorga come da una sorgente, pura e cristallina. Entrare nel suo mondo, ma anche solo riuscire a scorgerlo, come dall’anticamera, ti dà la sensazione piena della bellezza, di una comunione con l’universo, con la natura, con Dio.

Per questo, «interpretare» Mozart è sempre impresa ardua, perigliosa.

Non è così difficile con gli altri. Con i romantici, da Mendelssohn a Schumann e Brahms, le scelte dinamiche e agogiche che l’interprete mette in atto, flessioni, cedimenti, rubati, possono essere più o meno condivisibili, ma sono insite nell’architettura stessa e nel gusto musicale dell’epoca.

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