Losurdo Domenico - 1997 - Dai fratelli Spaventa a Gramsci: per una storia politico-sociale della fortuna di Hegel in Italia by Losurdo Domenico

Losurdo Domenico - 1997 - Dai fratelli Spaventa a Gramsci: per una storia politico-sociale della fortuna di Hegel in Italia by Losurdo Domenico

autore:Losurdo Domenico [Losurdo Domenico]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Philosophy, History & Surveys, General
ISBN: 9788886521734
Google: XV0QAQAAIAAJ
editore: La città del sole
pubblicato: 1997-02-14T23:00:00+00:00


V

STATO, GUERRA E RIVOLUZIONE

1. Hegelismo, edonismo e socialismo

Assente o irrilevante nei fratelli Spaventa, il fichtismo è ben presente, invece, in Mazzini. È vero, nel lamentare il fatto che nessuno osi contestare «l’autorità di Romagnosi», espressosi in modo sprezzante sulla hegeliana filosofia della storia (supra, cap. II, 5), il giovane Mazzini prende le difese di Hegel in nome della «teoria del progresso» messa «all’indice nei nostri atlanti letterari» 345. Si tratta di un sistema che, se pur «erroneo nelle sue linee fondamentali», non può essere liquidato sbrigativamente: «La mente di Hegel, vasta e potente com’è, esige rispetto, e la sua filosofia storica, luminosa sempre e spesso vera e giovevole, merita esame profondo e severo» 346. Alla filosofia hegeliana del progresso, negli anni che potremmo definire del Vormärz italiano, il giovane Mazzini non può non attribuire una funzione positiva, anche se già ora emergono importanti riserve, il cui significato comincia a divenir chiaro in una lettera inviata al primo traduttore italiano, Gianbattista Passerini, della Filosofia della storia. Quest’ultimo, sulla scia di Cieszkowski (un «giovane» più fichtiano che hegeliano), critica Hegel per il fatto di «non aver tenuto alcun conto dell’avvenire» e del «progresso futuro» e di aver indicato, invece, «il compimento di tutto nella sua filosofia e nella monarchia prussiana». A tutto ciò viene contrapposta una diversa teoria del progresso che, respingendo ogni forma di «fatalismo storico», impedisca che la società «si materializzi troppo nei sentimenti di egoismo e di lucro» e sia in grado di «imprimere il carattere di religione e di dovere alla nostra condotta» 347.

La contrapposizione all’oggettività del processo storico di un dovere morale inteso e sentito in termini fervidamente religiosi è certamente un motivo fichtiano. Per il Cieszkowski da cui prende esplicitamente le mosse il primo traduttore della hegeliana Filosofia della storia, all’età dell’«essere» (l’antichità) e all’eta del «pensiero» (dal cristianesimo a Hegel) deve far seguito l’età del «volere»: in tale quadro, il nobile polacco procede ad una celebrazione del «volere» e delibazione», chiamati ad essere il «Signore» e la «pietra angolare» di tale nuova e decisiva epoca 348. Non a caso Passerini è il traduttore anche dello Stato commerciale chiuso e, d’altro canto, di motivi chiaramente fichtiani si alimenta questa sua dichiarazione del 1830: «Noi non conosciamo noi stessi che nei nostri atti, uno spirito che non avesse agito non si conoscerebbe» 349.

A Passerini invia una lettera Mazzini il quale, nel ringraziare del «volume hegeliano», scrive: «Ho letto subito la vostra prefazione; l’approvo in tutto; già sapete che appartengo alla stessa serie di idee» 350. Indipendentemente anche da una conoscenza testuale, nel clima del Risorgimento italiano, il desiderio di azione, l’aspirazione a fuoriuscire dalla mera speculazione crea un clima favorevole per la diffusione di motivi che, direttamente o indirettamente rinviano a Fichte. Per Mazzini «la virtù è l’azione»351, e il «ministero del Letterato» e la «missione speciale dell’arte [e della cultura in genere] è spronare gli uomini a tradurre il pensiero in azione», trasformando così il «contemplatore in apostolo»352. Si comprende allora che in Mazzini Fichte assurga



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