L'ottimismo by Francesco Alberoni

L'ottimismo by Francesco Alberoni

autore:Francesco Alberoni [Alberoni, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-04-16T18:07:53+00:00


pianificare minuziosamente il futuro.

Dall’altro, però, deve essere anche estremamente abile nel cogliere il nuovo, nell’individuare, in mezzo alla enorme massa di dati, che gli arrivano ogni giorno, quello

importante. Di cogliere il segnale debole nascosto fra mille segnali forti. Questo richiede intuizione, sensibilità. Il nuovo non si presenta mai con la grancassa. E silenzioso, subdolo. E un granello piccolo, una increspatura, un niente. Per

coglierlo bisogna vuotare la mente, socchiudere gli occhi, saper

ascoltare. Un’altra polarità è quella fra capacità di decidere, di dare ordini, di esigere ubbidienza e capacità di negoziare, di convincere.

Nell’azienda moderna non vi è mai un’unica linea gerarchica, un unico capo a cui rispondere. Bisogna saper presentare le proprie idee in modo convincente. I rapporti con i consulenti, con i professionisti, con la stampa, richiedono tatto. Quelli con i collaboratori e i dipendenti pazienza, dedizione, capacità di coinvolgimento. Occorre, ora, un chiarimento. Una virtù polare non è una via di mezzo, l’aurea

mediocritas, un poco dell’uno e un poco dell’altro per non esagerare. E, al contrario, entrambe le cose.

Capacità di proporre e capacità di rinunciare, competitivita e

riconciliazione,

metodo e intuizione, fermezza e tatto. Tutto questo è difficile. Chi vuoi riuscire deve plasmare,

disciplinare il proprio carattere, ma anche coltivare spazi di sensibilità umana autentici, di disponibilità autentica. Alcuni giovani che hanno studiato a fondo economia aziendale pensano che sia sufficiente un’ottima preparazione e una grande

aggressività. Sbagliano. La società moderna è estremamente mutevole e complessa. Tutti gli atteggiamenti rigidi, nel lungo termine, sono destinati all’insuccesso. La

presunzione, l’arroganza,

l’autoritarismo, sono catastrofici per tutti.

LA PARTITA Perché ogni settimana, la domenica, milioni di persone restano con lo sguardo incollato al

televisore? Che cosa da il calcio a coloro che lo guardano, che cosa offre loro, in che modo li

arricchisce? Alcuni sostengono che non da nulla, e contrappongono lo sport praticato allo sport

spettacolo, che sarebbe solo un gioco di emozioni, una ebbrezza fantastica, uno sfogo di istinti. Una specie di orgasmo collettivo, in cui tutti scaricano le frustrazioni e i livori della vita quotidiana. Questi pessimisti non ci vedono niente di positivo, ma solo una prova

dell’irrazionalità umana. I sociologi e gli psicologi sono invece più ottimisti, e sostengono la tesi che l’individuo ha bisogno,

periodicamente, di dimenticare la propria identità, di fondersi con la collettività. Nello stadio tutti sono uguali. L’avvocato, il medico, l’operaio e il suo direttore, il giudice e la casalinga, i ricchi e i poveri dimenticano chi sono e provano una straordinaria ebbrezza di libertà. Si scatenano in eccessi, gridano, si abbracciano, si fondono insieme a costituire un nuovo potente organismo sovraindividuale. Poi, a casa,

ciascuno torna a se stesso, alla vita di tutti i giorni. In realtà la partita di calcio non è soltanto quella zona franca in cui milioni di individui vanno per dimenticare le regole di comportamento della vita quotidiana, ma è anche una fonte di insegnamento di valori e di moralità che poi servono proprio

nell’esistenza normale. Ripensiamo a una partita. I giocatori partono per un’azione, tessono pazientemente una trama superando innumerevoli

ostacoli. Superano una barriera, una seconda barriera, poi l’azione fallisce. Devono ricominciare da capo e poi da capo ancora.



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