Madri, padri e altri by Siri Hustvedt

Madri, padri e altri by Siri Hustvedt

autore:Siri Hustvedt [Hustvedt, Siri]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2023-05-25T12:00:00+00:00


L’enigma della lettura

«Cime tempestose è una storia strana, priva di gusto artistico», scriveva nel gennaio del 1848 un recensore anonimo su «Atlas». «Che strano libro», commentava un altro sull’«Examiner». «È un’opera insolitamente originale», diceva un recensore sul «Britannia». «Cime tempestose è un libro particolare… spiazza i critici», scrisse un altro sul «Douglas Jerrod’s Weekly Newspaper». E proseguiva cosí: «Eppure, una volta iniziato, è impossibile non finirlo; cosí come è impossibile, a lettura terminata, accantonarlo senza scriverne niente». Romanzo singolare, dunque, quello pubblicato nel 1847 da Emily Brontë con lo pseudonimo di Ellis Bell, che però non sembrava aver convinto i critici, i quali, nel migliore dei casi, lo consideravano l’opera piena di difetti di un autore di talento che se avesse affinato i propri strumenti avrebbe potuto produrre qualcosa di buono.

I recensori americani si dimostrarono per la maggior parte ancor meno indulgenti, perché si sentivano moralmente offesi. «Al termine della lettura di Cime tempestose si ha l’impressione di essere usciti da un lazzaretto», aveva sentenziato il «Paterson’s Magazine». «È un’accozzaglia di turpitudine e obbrobri contro natura», aveva scritto il critico del «Graham’s Lady’s and Gentleman’s Magazine». Ed ecco come si concludeva la recensione di Edwin P. Whipple del romanzo di Bell per la «North American Review»: «Gli incubi e i sogni popolati da demoni che danzano e lupi che ululano producono pessimi romanzi».

Le stroncature dei «classici» ci strappano spesso un sorriso di supponenza. Il nostro atteggiamento di superiorità dipende in larga misura dal fatto che ci siamo imbattuti in quei capisaldi del canone letterario quando frequentavamo ancora il liceo o l’università. Sulla recensione del Grande Gatsby, pubblicata nel 1925 sul «New York World», campeggiava un titolo che oggi ci appare vergognosamente ottuso: Fitzgerald ha fatto cilecca. Eppure l’idea stessa di un canone letterario è stata pesantemente criticata per oltre mezzo secolo. La validità di certi titoli è stata messa in discussione sulla scia di posizioni politiche contrastanti. È sacrosanto criticare il fatto che chi non rientrava in certi parametri – soprattutto le donne e gli autori non bianchi, salvo qualche rarissima eccezione – è stato sistematicamente escluso dal canone.

Il giudizio morale permea tuttora l’approccio della critica americana alla letteratura. Il ritratto di Wolfsheim nel Grande Gatsby, per esempio, è stato a lungo tacciato di antisemitismo, e per questa ragione, al giorno d’oggi, potrebbe essere escluso dalle liste dei libri consigliati agli studenti. A tale proposito, sulla «F. Scott Fitzgerald Review», il professor Michael Pekarofski osserva che lo stesso Jay Gatsby è un «ebreo errante», punto di vista interessante. Se ripulissimo la letteratura da tutte le macchie di misoginia, razzismo e xenofobia, per non parlare delle altre innumerevoli offese perpetrate nei confronti del genere umano, in breve le nostre biblioteche si ridurrebbero a un numero esiguo di opere consacrate da chi si è assunto l’arduo compito di purificare la letteratura. Tuttavia, anche i lettori dissoluti e raffinati, ben disposti verso narratori psicopatici che uccidono le donne o pedofili che molestano le proprie vittime, possono provare fastidio e perfino ribrezzo di fronte



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