Menzogna romantica e verità romanzesca by René Girard

Menzogna romantica e verità romanzesca by René Girard

autore:René Girard [Girard, René]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2020-03-12T16:00:00+00:00


La maniera rovinosa in cui è costruito l’universo psicopatologico vuole che l’atto maldestro, l’atto che dovrebbe essere assolutamente evitato, sia appunto l’atto che dà sollievo [...] quando il dolore è troppo forte, soccombiamo alla goffaggine consistente nello scrivere, nel far pregare da qualcuno, nell’andare a vedere, nel dimostrare che non si può fare a meno di colei che si ama.

Marcel cede a tutte le tentazioni di cui Julien trionfa. Vi è, sì, un vinto in Le rouge et le noir, ma non è certo Julien, è Mathilde. Vi sono, sì, vincitori nella Recherche du temps perdu, ma non sono mai Marcel, Swann o Charlus, sono Gilberte, Albertine, Odette e Morel. Un confronto meccanico fra gli eroi stendhaliani e gli eroi proustiani non svelerà mai l’unità del desiderio metafisico e la stretta affinità fra i due romanzieri, giacché gli eroi principali delle due opere rappresentano momenti opposti di una medesima dialettica.

Le leggi del desiderio sono universali ma non comportano l’uniformità delle opere romanzesche, nemmeno sui punti di applicazione. La legge fonda la diversità e la rende intelligibile. Julien Sorel è un eroe-padrone, Marcel è un eroe-schiavo. L’unità romanzesca appare a condizione che smettiamo di considerare il personaggio – il sacrosanto individuo – come una entità perfettamente autonoma e scopriamo le leggi dei rapporti fra tutti i personaggi.

In Le rouge et le noir è quasi sempre lo sguardo di un padrone a contemplare l’universo romanzesco. Penetriamo nella coscienza di una Mathilde libera, indifferente e altera; allorché diventa schiava, la vediamo solo dal di fuori, con gli occhi del padrone, che è ormai Julien. La luce romanzesca elegge di preferenza a sua dimora una coscienza padrona. Non appena questa perde la padronanza, la luce la abbandona e passa nel vincitore. In Proust accade l’inverso: la coscienza che smorza la luce del romanzo e gli dona la qualità specificamente proustiana è quasi sempre una coscienza schiava.

Il passaggio dalla padronanza alla schiavitù chiarisce molti contrasti fra Stendhal da una parte e Proust e Dostoevskij dall’altra. Sappiamo che la schiavitù rappresenta il futuro della padronanza. Questo principio, vero sul piano teorico, è tale pure sul piano della successione delle opere. La schiavitù è l’avvenire della padronanza; Proust e Dostoevskij sono dunque l’avvenire di Stendhal; le loro opere sono la verità dell’opera stendhaliana.

Il movimento verso la schiavitù è un principio fondamentale della struttura romanzesca. Ogni sviluppo romanzesco autentico, quale che ne sia l’ampiezza, può essere definito come un passaggio dalla padronanza alla schiavitù. Questa legge si verifica al livello della letteratura romanzesca nella sua totalità; si verifica altrettanto al livello dell’opera completa di un romanziere o al livello di un singolo romanzo o anche di un episodio in seno al romanzo stesso.

Consideriamo dapprima il caso dell’opera completa. Abbiamo definito Stendhal come un romanziere della padronanza rispetto ai romanzieri posteriori. Se consideriamo le opere stendhaliane isolatamente, ritroveremo il rapporto tra padrone e schiavo nell’opposizione tra le prime e le ultime opere. In Armance non appare ancora alcuna forma di schiavitù propriamente detta; l’infelicità rimane essenzialmente romantica e non minaccia l’autonomia dei personaggi.



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