Mostri by Frédéric Richaud

Mostri by Frédéric Richaud

autore:Frédéric Richaud [Richaud, Frédéric]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Ponte alle Grazie
pubblicato: 2023-10-08T17:42:59+00:00


XXII

Già da un pezzo aveva notato, nel magazzino in cui le suore confezionavano cesti e scope, un gran mucchio di scorze fresche di frangola. Di che procurare coliche a una mandria di elefanti.

Soltanto poche ore dopo che Mathilde de Saint-Rouget l’ebbe liberata dicendole: «Alla prossima bestemmia, non saranno cinque i giorni che passerete qui dentro, ma dieci», Catherine andò nel magazzino a riempire non vista una borsa di scorze.

La sera stessa, mentre era di servizio in cucina, mise il suo raccolto a bollire in mezzo alle altre pentole.

Di solito, si consiglia di non lasciare le scorze in infusione per più di dieci minuti, per non correre il rischio di vedere gli intestini trasformarsi in spetezzante torrente escrementizio. Lei ce le lasciò per due ore.

A sera avanzata, mescolò il decotto alla rituale tisana di salvia e timo. Poi aspettò.

Lo spettacolo cominciò un’ora dopo, nel dormitorio, quando tutte le luci furono spente.

Dapprima ci fu, sulla destra, uno schiocco secco che fece sbuffare qualche suora; poi, provenienti da sinistra, gli fecero eco piccole esplosioni a catena, di lì a poco raggiunte, arrivando un po’ da ogni dove, da sconvenienti e melmose flatulenze. D’improvviso ci furono rumori di passi precipitosi, la porta del dormitorio si aprì, si richiuse, si aprì ancora, tornò di nuovo a chiudersi. Ogni tanto, odori venivano a solleticare le narici di Catherine. Laddove i comuni mortali non avrebbero distinto che un puzzo immondo, il suo naso esercitato riconosceva effluvi di carogna, esalazioni di cantina umida, sentori di zolfo o di funghi. Tutte queste putride sfumature raccontavano meglio di un libro le tante affezioni intestinali di cui soffrivano quelle donne malnutrite.

Per quasi sei giorni, Catherine continuò a bearsi della musica olfattiva che lei stessa scatenava. Nessuno pensò mai di sospettarla giacché lei non si esimeva dal lamentarsi a sua volta per il mal di pancia e dall’apportare regolarmente la sua nota personale e odorosa. A volte, superava in corsa qualche suora e andava a chiudersi nella latrina dove sostava a lungo, indifferente alle suppliche e ai pugni martellati contro la porta.

Si accusò il cibo, il tempo umido, si pensò a escrementi di topo caduti nella zuppa e, siccome il disturbo persisteva, si arrivò a implorare Dio di porre fine a quella cacofonia maleodorante. Ma, poiché Dio, nonostante tutte quelle suppliche, non pareva desideroso di esaudire i voti delle sue serve, fu a Catherine che Mathilde de Saint-Rouget, con la morte nel cuore, finì col rivolgersi.

«Voi che vi siete presa cura degli intestini della regina… Non avreste un rimedio per guarirci dal male che ci affligge?»

Catherine studiò per un istante quella donna ora alla sua mercé.

«Se ne avessi uno» le mentì, «potete star certa che sarei la prima a somministrarmelo…»

«Oooh» disse gemebonda Mathilde de Saint-Rouget, tenendosi la pancia. «Cosa sarà di noi?»

Aveva la faccia verdastra. E Catherine capì d’un tratto di avere il modo di fargliela inverdire ancora di più.

«A meno che…» riprese.

Gli occhi di Mathilde de Saint-Rouget si accesero.

«A meno che?»

«A meno che non mi restituiate i miei libri».

«I vostri libri?»

«Fra di essi, ci sono due o tre tomi di medicina.



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