Napoli a occhio nudo by Renato Fucini

Napoli a occhio nudo by Renato Fucini

autore:Renato Fucini [Fucini, Renato]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2013-08-15T22:00:00+00:00


LETTERA VI.

Dove si parla del Camposanto vecchio.

Napoli, 22 maggio 1877.

Sere sono, essendo montato in una carrozzella per prendere una boccata d'aria di campagna, dopo aver percorso un par di chilometri circa della strada di Poggio reale fuori di porta Capuana, attaccai questo colloquio col mio Automedonte.

— Dimmi, compare; che cos'è quel gruppo di fabbricati lassù in alto a mezza collina...?

— Il Camposanto nuovo, eccellenza.

— No, no; quello lo conosco. Domandavo di quell'altro più in basso a sinistra....

— Ah! ho capito quale volete dire. È il Camposanto vecchio, il Camposanto dei poveri, dove sotterrano a macchina....

— Svolta, e conducimi lassù.

— Io vi conduco dove volete, signorino, ma non troverete nulla di bello da vedere.

— Tanto meglio. Svolta, svolta. —

Il vetturino, maravigliato di un genere di curiosità che non sapeva spiegarsi, mi guardò quanto ero lungo e lentamente fece voltare il cavallo. Dopo un quarto d'ora circa mi trovai alla porta del Cimitero.

Appena messo il piede dentro alla soglia, le parole del vetturino «non troverete nulla di bello da vedere» mi tornarono alla mente e quasi mi pentii d'esservi andato.

Non v'era assolutamente nulla da vedere. Due corpi di fabbrica lateralmente all'androne d'ingresso contenenti la chiesa, il quartiere del prete ed altre stanze destinate a varj usi; un largo piazzale lastricato di forma presso a poco quadrata, con un lampione nel centro sormontato da croce; un'alta muraglia di cinta decorata internamente ad arcate in grossezza di muro, ed una piccola Grù collocata sopra piano mobile che al mio arrivo stava inoperosa in un angolo del piazzale; ecco tutto quello che mi dètte nell'occhio al primo giungere nello squallido carnajo, dove il Municipio di Napoli manda ogni anno circa 7000 capi di bestiame umano a putrefare in combutta. Un uomo di piacevole aspetto, ma coperto di abiti cenciosi, che stava seduto presso la porta, mi si annunziò come il custode; ma siccome esitavo ad entrare, mi disse che passassi pure, ed accennandomi alcuni meditabondi straccioni che erravano là dentro, mi fece sapere che senza alcuna cerimonia l'ingresso era libero a tutti in quel recinto. — Entrai. Fatti alcuni passi, però, tornai indietro per fargli questa domanda: — Scusate, custode, che cosa sono quelle lapide tonde lì sul lastrico e numerate una per una con lo scalpello?

— Le sepolture, signore, — mi rispose. — In tutte sono 365, appunto quanti i giorni dell'anno. 360 sono qui, come vedete, ed altre 5 nella chiesa. Alle 6½ della sera se ne apre ogni giorno una e lì si seppelliscono, con quella macchina laggiù, i morti che sono arrivati nella giornata e quelli che arrivano nella notte. Si richiude alle 6½, della mattina; ma se vi piacesse vedere come si fa, trattenetevi o tornate stasera verso le sette, chè vi divertirete. —

Nel tempo che il custode mi dava queste notizie io gli badavo appena. Fissatomi su quel piano uniforme, nudo come l'idea della morte, sotto al quale milioni di cadaveri imputridivano accatastati, mi sentivo prendere adagio adagio da una noja, da un malessere, da così fredda tristezza, che volentieri me ne sarei andato, se una strana curiosità non m'avesse inchiodato là dentro.



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