Nel segno dell'esilio: Riflessioni, letture e altri saggi by Edward W. Said

Nel segno dell'esilio: Riflessioni, letture e altri saggi by Edward W. Said

autore:Edward W. Said [Said, Edward W.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Philosophy, Political, General
ISBN: 9788858817551
Google: 06XuAwAAQBAJ
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2008-06-11T22:00:00+00:00


27. Rappresentare i colonizzati

L’antropologia e i suoi interlocutori

pas un bout de ce monde qui ne porte mon empreinte digitale et mon calcanéum sur le dos des gratte-ciel et ma crasse dans le scintillement des gemmes!

AIMÉ CÉSAIRE, Cahier d’un retour au pays natal

Le quattro parole contenute nel titolo di queste note si situano tutte su territori malfermi, fors’anche agitati. Oggi, per esempio, è praticamente impossibile ricordarsi di un tempo in cui non si parlasse di crisi della rappresentazione. E più quella crisi viene analizzata e dibattuta, più le sue origini appaiono remote. Il lavoro di Michel Foucault ha contribuito a dare maggiore incisività e a rendere probabilmente più attraente l’idea, già presente in diversi storici della letteratura come Earl Wasserman, Erich Auerbach e M.H. Abrams, che con il progressivo esaurimento dell’equilibrio classico le parole abbiano cessato di costituire quel medium trasparente che consentiva all’Essere di manifestarsi. Di contro, il linguaggio, quest’essenza inafferrabile, opaca e pure bizzarramente astratta, ha finito per imporsi quale oggetto privilegiato di indagine teorica, e dunque per inibire e neutralizzare ogni tentativo di rappresentazione mimetica della realtà. Nell’epoca di Nietzsche, di Marx e di Freud, la rappresentazione ha dovuto scontrarsi non solo con la consapevolezza delle forme e delle convenzioni che il linguaggio impone, ma pure con le pressioni esercitate da forze tanto transpersonali, transumane e transculturali quali la classe, l’inconscio, il genere, la razza, la struttura. Tali forze hanno trasfigurato il senso di “cose” in precedenza stabili come l’idea di autore, di testo o di oggetto, fino a renderle letteralmente quasi in(de)scrivibili, sicuramente impronunciabili. Rappresentare qualcuno o qualcosa è divenuto oggi compito tanto complesso e ingrato da risultare un’operazione asintotica, con tutti gli effetti catastrofici sullo statuto di ogni certezza e decidibilità che si possono facilmente immaginare.

Il concetto di colonizzato, per passare alla seconda parola del titolo, presenta anch’esso la propria elevata dose di volatilità. Prima della seconda guerra mondiale, infatti, si riferiva essenzialmente agli abitanti del mondo extra-europeo e non-occidentale controllati e spostati a forza dagli europei. Su questi presupposti generali Albert Memmi poteva collocare colonizzato e colonizzatore in un mondo sui generis, con leggi e istituzioni sue proprie, laddove in I dannati della terra Frantz Fanon descriveva la città coloniale come divisa in due sfere assolutamente separate, comunicanti fra loro solo in base a una ferrea logica di violenza e contro-violenza.1 Col tempo, quando le idee di Alfred Sauvy sul Terzo mondo si imposero nella teoria e nella prassi, colonizzato divenne semplicemente sinonimo di Terzo mondo.2

Eppure, in molte regioni dell’Africa e dell’Asia i cui territori avevano ottenuto l’indipendenza nel periodo a ridosso della seconda guerra mondiale, la presenza coloniale delle potenze occidentali persisteva ancora inalterata. La parola colonizzato, quindi, non si limitava a indicare un gruppo storicamente determinato che aveva visto riconosciuta la propria sovranità nazionale, né tendeva per questo a essere bandita dal lessico della politica: al contrario, il suo raggio si estendeva fino a comprendere sia gli abitanti di stati di recente indipendenza sia popolazioni magari adiacenti di sudditi veri e propri, in territori ancora occupati dagli europei.



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