Non si muore tutte le mattine by Vinicio Capossela

Non si muore tutte le mattine by Vinicio Capossela

autore:Vinicio Capossela
La lingua: ita
Format: epub, mobi
pubblicato: 2012-07-30T16:00:00+00:00


Capitolo 30.

I RACCONTI DEL NEGRO DUM DUM.

Tutto intorno la torre d’acquedotto era circondata, assediata dagli alti fusti del frumentone, il grano da pannocchie. Più oltre erano l’argine, il circo e i giostrai.

Tutto era immobile, nel rumore assordante delle cicale a elettrodo, che stavano in alto, sugli alberi, e come chiunque altro da quelle parti, bestie o insetti che fossero, non si facevano vedere.

Nella fissità del pomeriggio le rotoballe di fieno correvano metafisiche come dischi volanti bloccati, lungo le ampiezze gialle dei campi rasati, al margine del mare di frumentone.

Dalla radio arrivava musica messicana. Veniva dalle cassette di Guadalajara, Guadalajara… terra di donne appariscenti e uomini nullafacenti. Ma in giro non si vedeva nessuno.

“Non ci sono un po’ troppe mosche qui dentro?” chiesi.

Il Gaggio, che stava dietro al Tenente Dum Dum, girava come un maggiordomo per la camera ad aria rotonda dell’acquedotto con una paletta schiacciamosche in mano, e le abbatteva con discrezione.

Per terra poi un piccolo animale col muso allungato, Giacinto, ripuliva tutto fiutando e ingoiandole per aspirazione.

Il pappagallo intanto si allineava le penne con molta cura.

“Cosa vuoi che siano queste poche di mosche… nel Corno d’Africa ce ne sono così tante che devi parlare poco se non vuoi che ti vadano di traverso.”

L’altro continuava ad abbatterle con meticolosità.

“E tu Gaggio di che cosa ti occupi?” domandai.

“Il Gaggio costruisce dei totem nel fiume…”

“Sì,” precisava lui, “io faccio delle costruzioni di sassi nel greto del fiume quando è secco…”

“E a cosa servono?”

“A niente… per bellezza…”

“E di che forma sono?”

“A cono… l’anno scorso ne ho fatta una di sei metri d’altezza… e altre due più basse. Sembravano dolmen… poi d’inverno arriva il fiume e se le porta via… però i sassi ci sono solo lì nel greto… perciò è lì che bisogna andare a farle…”

Il pappagallo intanto becchettava i semi. Il girasole steso, senza più petali, il grande rosone esposto, gli alveoli dei semi come un radiatore, porgeva eroico sullo stenditoio dei panni il suo petto guerriero.

L’adornava il verde accennato dei petali ventosi… stendardo rotondo… abbattuto come una cernia… trafitto dai semi, mobile come una spalliera… si rassegnava alle cure del pappagallo…

Poi il Tenente Dum Dum, ispirato, prese a raccontare. “Cosa vuoi che sia questa caldana? Laggiù a Moruà, verso la foce, dove l’oceano si fa marrone per lo sfogo dei fiumi… lì sì che il caldo è davvero caldo… o ancora più avanti a n’ Guanderè… in mezzo alla foresta pluviale, che è così fitta che il camion per passarci dentro deve tenere le luci accese anche di giorno… i negri da quelle parti fanno grandemente frastuono, sotto un tetto di lamiera largo come un quarto di campo di calcio si ritrovano… e intorno nella foresta si sentono i tamburi ingigantiti dall’oscurità… fanno ancora baccano e ballano tutta la notte… laggiù. A essere gli unici bianchi lì in mezzo a quei negri a migliaia, ci si sente un poco in imbarazzo… ma le ragazze non si mettono soggezione, vengono lo stesso… si parano davanti in cinque, in fila, come al mercato,



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