Nozze di sangue by Marco Cavina

Nozze di sangue by Marco Cavina

autore:Marco Cavina [Cavina, M.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: eBook Laterza
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2011-08-14T22:00:00+00:00


5. Processi esemplari

Proprio l’esperienza dimostrava che molti uxoricidii erano seguiti a improvvide restituzioni della moglie al marito violento, senza che la cauzione costituisse un argine sufficiente alla brutalità. Il Cosci rammentava un caso che si trovò a giudicare nelle vesti di vicario generale episcopale. Da Piombino, per ben due volte, un tale si era recato alla diocesi di Lucca, per riprendersi la moglie che era andata a vivere con un altro uomo. La donna, pur non volendo saperne di ritornare col coniuge, accettò ma, durante il viaggio di ritorno, ci ripensò e fuggì. Il marito con l’aiuto del vescovo la catturò di nuovo, e la donna di nuovo fuggì. A questo punto l’uomo la raggiunse, la condusse in una casa di pastori abbandonata e la impiccò. La chiosa del Cosci era che si trattava di un caso in cui il marito era sempre stato uomo «paziente e pio», onde in quanto giudice aveva avuto le mani legate e aveva dovuto necessariamente restituirgli la moglie: non poté fare altro. Eppure si rendeva conto d’aver commesso una patente ingiustizia, poiché «la donna non deve essere sottoposta a un martirio perpetuo, in quanto con il contratto di matrimonio la donna non si assoggetta all’uomo come fosse una bestia»349.

Non soltanto la cauzione, ma anche l’eventuale incarcerazione del marito violento conducevano spesso a risultati sconfortanti. Un documento senese del 1653 ricorda una moglie che si ritenne costretta a far incarcerare il marito «sperando con ciò dargli mortificazione per la quale dovesse vivere poi quieto in santa pace, ma per l’ostinazione e poco honore di quello è riuscita totalmente il contrario». Dal carcere le aveva fatto minacciosamente sapere «che peggio farà quando tornarà a casa» e che «entrato in casa la vole ammazzare»350.

Davanti a mariti di questa risma la prassi seicentesca più accreditata era spesso tutt’altro che inflessibile. Ad esempio, un giudice trentino asseriva, in una sentenza dell’11 marzo 1650, l’insufficienza di un unico atto lesivo, anche atroce, per la richiesta di separazione351. E una sentenza d’appello napoletana del 28 giugno 1624 considerò inadeguati, ai fini della separazione, pugni e schiaffi al volto, a cui oltretutto era seguita una copiosa perdita di sangue dal naso: il giudice rilevò che dal naso era facile e normale che fuoriuscisse molto sangue per il minimo ‘urto’. A suo dire, sarebbero state, invece, necessarie sevizie gravi, frequenti e senza causa, oltre che inferte con arnesi presuntivamente immoderati e incongrui per la correzione maritale, cosa che non era quando il marito si limitava ad usare le mani352.

Da una sentenza del 1632 della Rota di Genova si possono dedurre gli snodi procedurali tipici nella prassi di una vertenza di separazione per sevizie. I giudici si interrogavano se le sevizie fossero state gravi e frequenti, ma soprattutto se fosse verosimile la loro reiterazione. In questa chiave si configurarono otto fasi ben precise:

1. l’analisi del carattere del marito: genericamente aggressivo, in quanto era solito battere anche i servi e la propria nutrice;

2. l’analisi dell’elemento temporale e della ‘continuità’ dei maltrattamenti: una delle prime gravi



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