Okorafor, Nnedi by Binti

autore:Binti
Format: epub
pubblicato: 2019-10-29T16:00:00+00:00

Montarono le sofisticate tende di pelle di capra con le aperture rivolte verso il deserto, così da assicurare agli occupanti una parvenza di intimità. Due uomini accesero un fuoco al centro dell’accampamento e alcune donne vi si raccolsero attorno per cucinare. Si sentiva lo sciacquio sommesso dei collettori da dietro due tende, mentre il soffio d’aria gelata prodotto dai dispositivi stessi raffreddava tutto il campo. Ben presto, la grande giara vuota trasportata da uno dei cammelli venne fatta rotolare al centro dell’accampamento e riempita d’acqua.

«Tu starai con me» annunciò mia nonna, indicando il padiglione che due uomini avevano appena eretto per lei. Mi passò un bicchiere. «Bevi a volontà, il tuo corpo ha bisogno di idratazione.» All’interno, la tenda era spaziosa, con due stuoie poste l’una di fronte all’altra. Per “cena” mangiammo focacce azzime con miele, un’abbondante, squisita e odorosa zuppa di pesce essiccato, altri datteri e tè alla menta. E mentre il sole sorgeva, tutti si rifugiarono svelti nelle proprie tende per andare a dormire.

Io ero piacevolmente sazia e spossata, ma ancora troppo inquieta per addormentarmi. Così mi sedetti sulla stuoia, contemplando la distesa sabbiosa, con mia nonna che russava davanti a me. Da quando ci eravamo addentrati nel deserto, i ricordi e gli incubi a cui mi ero abituata erano spariti. Inspirai la secca aria infuocata e sorrisi. Le proprietà curative di questo luogo mi avevano sempre fatto bene.

Il mio sguardo cadde su Mwinyi, che aveva finito di abbeverare i cammelli e adesso sedeva su una duna col viso rivolto verso il deserto. Le sue mani si agitavano davanti a lui. Mi alzai in piedi e lo raggiunsi.

Lui mi lanciò un’occhiata mentre mi avvicinavo, tornò a fissare il deserto e riprese a gesticolare. Esitai un istante perché temevo di disturbarlo, ma poi proseguii; dovevo sapere. Inoltre, avevo visto diverse persone chiacchierare e ridere scuotendo le mani in quel modo, perciò dubitavo che i gesti fossero una sorta di preghiera o meditazione.

«Ciao» esordii, nella speranza che si fermasse. Non lo fece.

«Dovresti dormire un po’» rispose.

Inclinai la testa e lo studiai mentre, con la fronte aggrottata, si tirava su le maniche azzurre, protendeva le braccia e si lanciava in una serie di aggraziati movimenti degli arti.

«Lo farò» dissi. Tacqui e trassi un respiro. Mi domandai cosa sarebbe accaduto se avessi evocato una corrente e l’avessi collegata alle sue dita frenetiche. L’elettricità del flusso l’avrebbe fermato? «Posso sapere che stai facendo?» sbottai. «Con le mani? Non riesci a controllarle?» Mi ritrassi nelle spalle e mi morsicai il labbro, in attesa. Per un momento, lui continuò imperterrito, gli occhi fissi sul deserto.

Poi alzò lo sguardo su di me. «Sto comunicando.»

«Però lo fai quando… come adesso, per esempio» ribattei, le sue mani svolazzanti in aria. «In questo momento non ti stai rivolgendo a me. Oppure, lo stai facendo ma io non lo capisco. E ho visto delle persone farlo anche mentre parlavano con altri.»

Mi scrutò a lungo, poi gettò un’occhiata all’accampamento e tornò a guardarmi.

«Questa è una cosa che dovrebbe spiegarti tua nonna. Chiedilo a lei.

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