Pelagija e il gallo rosso by B. Akunin

Pelagija e il gallo rosso by B. Akunin

autore:B. Akunin [Akunin, B.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Frassinelli
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


La shikse rossa

Dopo il pranzo, che quel giorno era stato particolarmente buono, Šmulik rimase appena un poco a poltrire nel cortiletto, su soffici cuscini. Lesse per madame Perlova qualche pagina della Torah. Lei non capiva una parola, ma ascoltava con venerazione e non osava farsi avanti con le sue carezze. Nel cortile della vedova cresceva un vero albero ombroso, una tale rarità nella Città Vecchia. Sarebbe rimasto lì seduto in eterno, ma bisognava affrettarsi a tornare alla yeshivà. Nel pomeriggio agli allievi insegnava lo stesso rav Šefarevič, e con lui non si poteva arrivare in ritardo. Non avrebbe badato se era un illuy, gli avrebbe dato delle bacchettate sulle dita, facendogli parecchio male. Il maestro non aveva nessuna indulgenza per la carne, né propria, né altrui, perché il corpo appartiene all’asia, la sfera inferiore dei fenomeni, e non merita condiscendenza.

Perfino nella calura di Yerushalayim il rav si vestiva come si conviene a un saggio ashkenazita: con una lunga finanziera nera con il colletto di velluto e uno shtrayml di volpe in testa. Dal cappello di pelliccia pendevano i cernecchi canuti, appiccicosi di sudore. E questo adesso, in maggio: cosa sarebbe stato in estate? Dicevano che nella Terra Promessa potesse fare talmente caldo che un uovo posato sulla sabbia in due minuti diventava sodo. La santità del rav avrebbe sopportato una simile prova?

Guardando il Maestro che camminava su e giù per la classe, Šmulik pensò: la sopporterà.

Ecco che rav Šefarevič si fermò vicino al guercio Lejbka, gli puntò un dito sulla nuca: «Perché non hai copiato il capitolo della Mishna, come ti era stato ordinato?»

«Mi faceva male la pancia», rispose a capo chino Lejbka.

«Gli faceva male la pancia», comunicò il Maestro agli altri studenti della yeshivà, come se potessero non aver sentito. «Discutiamone.»

L’ultima frase significava che la dotta conversazione era iniziata: ora dalle labbra del rav sarebbe zampillata la sorgente della saggezza.

E così fu.

«È detto: tutte le malattie colpiscono l’uomo per punirlo dei suoi peccati. Sei d’accordo?»

Lejbka si strinse nelle spalle: un simile esordio non prometteva niente di buono per lui. Rav Šefarevič si finse meravigliato.

«Non è forse così? La testa duole a chi pensa a cose vane ed empie. I denti fanno male al goloso che rosicchia molto zucchero. Il membro marcisce al dissoluto che commercia con donne di malaffare. Su questo sei d’accordo?»

Lejbka dovette annuire.

«Oh, bene. Visto che a te faceva male la pancia, significa che la tua pancia ha peccato: ha mangiato quello che non doveva. Lei è colpevole della tua malattia. Sei d’accordo? E a chi appartiene la pancia? A te. Dunque, tu stesso sei colpevole. D’accordo?»

Al posto di Lejbka risponderei con una citazione dalla Scelta di perle di Yehudah ibn Gabirol, pensò Šmulik: Lo stolto incolpa gli altri; l’intelligente incolpa se stesso; ma il saggio non incolpa nessuno. Negli ultimi tempi Šmulik aveva preso questa abitudine, di disputare con il Maestro. L’abitudine era assai lodevole per un talmudista, ma non priva di pericoli se applicata a rav Šefarevič, perciò l’illuy conduceva la polemica fra sé, mentalmente.

Lejbka non seppe portare citazioni a sua discolpa, e perciò ricevette una bacchettata.



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