Quando giudichiamo morale un'azione? by Piergiorgio Donatelli

Quando giudichiamo morale un'azione? by Piergiorgio Donatelli

autore:Piergiorgio Donatelli [Donatelli, P.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Lampi
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2004-11-14T16:00:00+00:00


La risposta di Bentham: giudichiamo le conseguenze

Kant esclude la considerazione delle conseguenze dagli elementi in base a cui si giudica il valore morale di un’azione. Come egli scrive:

Il valore morale dell’azione non consiste nell’effetto che se ne attende, e meno ancora in un fondamento dell’azione che debba trarre il proprio movente da questo effetto atteso.17

E se, invece, giudicassimo la moralità di un’azione dalle conseguenze che produce?

Jeremy Bentham presenta l’utilitarismo come una teoria che avrebbe dovuto mettere ordine tra le teorie morali. Nella Introduzione ai principi della morale e della legislazione (1789) egli sostiene che le diverse teorie etiche che erano state formulate fino ad allora non avevano un sicuro fondamento. Infatti, egli respinge tanto le teorie che egli chiama del senso morale – quella di Hume, ad esempio – perché hanno il loro fondamento nel sentimento interno che approva una certa condotta, quanto le teorie etiche intellettualistiche (non Kant, che formulava la sua teoria proprio in quegli stessi anni) perché hanno il loro fondamento nel giudizio dell’intelletto o nella capacità della ragione di cogliere l’adeguatezza delle cose.

Qual è allora il fondamento della sua teoria etica? In termini più semplici, cosa ci guida nel giudicare se una azione è morale o no?

Bentham sostiene che, quando diciamo che un’azione è giusta, l’unico fondamento della nostra affermazione è che tale azione produce, o ha la tendenza a produrre, conseguenze che sono piacevoli per il maggior numero di persone. In altri termini, l’azione deve obbedire al principio di utilità:

Per principio di utilità si intende quel principio che approva o disapprova qualunque azione a seconda della tendenza che essa sembra avere ad aumentare o diminuire la felicità della parte il cui interesse è in questione; o, che è lo stesso concetto in altre parole, a seconda della tendenza a promuovere tale felicità o a contrastarla.18

E ancora:

Per utilità si intende quella proprietà di ogni oggetto per mezzo della quale esso tende a produrre beneficio, vantaggio, piacere, bene o felicità (in questo contesto tutte queste cose si equivalgono) oppure ad evitare che si verifichi quel danno, dolore, male o infelicità (di nuovo tutte cose che si equivalgono) per quella parte il cui interesse si prende in considerazione: se quella parte è la comunità in generale, allora l’interesse della comunità, se è un individuo in particolare, allora l’interesse di quell’individuo.19

Se è l’interesse della comunità a essere considerato, l’utilitarismo si propone come un sistema etico in grado di applicarsi all’esercizio del governo:

Un provvedimento di governo […] può essere definito conforme al principio di utilità o da esso dettato quando, allo stesso modo, la sua tendenza ad aumentare la felicità della comunità è maggiore di ogni sua tendenza a diminuirla.20

Dunque, Bentham sostiene che ogni volta che diciamo che un’azione è giusta facciamo riferimento – anche implicito – al principio di utilità. Questo è il solo significato che possiamo attribuire a un’azione giusta. Non vi è, infatti, nulla in un’azione che possa renderla moralmente giusta o sbagliata rispetto a un’altra al di fuori della sua tendenza a produrre maggiore felicità per il maggior numero di persone.



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