Quando l'Italia era una superpotenza by Giorgio Ruffolo

Quando l'Italia era una superpotenza by Giorgio Ruffolo

autore:Giorgio Ruffolo [Ruffolo, Giorgio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Perché cadde l’Impero d’Occidente.

Ci stiamo avvicinando al centro della questione che ci siamo posti all’inizio di questo capitolo. Perché cadde l’Impero d’Occidente?

Poche domande hanno avuto, come questa, una gamma cosí ampia di risposte. Forse nessun momento della storia ha suscitato un’attenzione tanto appassionata. Poiché l’Impero di Roma ha segnato profondamente il passato di tutte le nazioni dell’Occidente, la sua fine non poteva non lasciare nel loro inconscio, almeno in Europa, il senso oscuro di un presagio e di un mònito. Ciò che è successo nel V secolo, si sono dovuti domandare i «contemporanei», non potrebbe accadere al nostro? Mai, forse, il concetto crociano di una storia che è sempre, in qualche modo, storia contemporanea, ha trovato una sua piú puntuale corrispondenza.

Lasciando da parte le risposte piú superficiali o strampalate – il decadere dei costumi severi di Roma nella dissolutezza; la selezione darwiniana a rovescio dei peggiori (lo sosteneva uno studioso serio come Otto Seeck) o addirittura dei piú brutti e fisicamente degenerati (un’idea di Burckhardt); le esalazioni sterilizzanti del piombo con il quale i romani delle classi elevate rivestivano le loro condutture, eccetera – le teorie piú famose sulla fine dell’Impero ne rendono responsabili rispettivamente i cristiani e i barbari (gli assassini dell’Impero, li definisce Piganiol).

La prima di queste due risposte si lega alla tradizione dei grandi storici illuministi del XVIII secolo: Montesquieu, Voltaire e, soprattutto, Gibbon. Gli strani assassini inermi dell’Impero erano, secondo loro, i cristiani. Il cristianesimo, contestandone clamorosamente miti, riti e culti ne aveva fiaccato il nerbo. È un’accusa sulla quale si è tornati tante volte nelle epoche successive per riaffermarla o per confutarla. Ora, abbiamo visto quanto fossero diverse le condizioni oggettive delle due parti dell’Impero. Ma sembra piuttosto azzardato concluderne che una forza che agí nel senso della coesione nell’una abbia agito nel senso della disgregazione nell’altra. Dove stanno i segni evidenti di questa azione disgregatrice? È vero: ci sono le testimonianze di un’aperta esultanza di cristiani eminenti, come Tertulliano, come Salviano di Marsiglia, di fronte alle disfatte e alle invasioni. Ma ci sono altrettante testimonianze di dolore e di amarezza – famosa quella di san Gerolamo – ed espressioni ferventi di patriottismo. Ci sono persino le memorie documentate di vescovi che guidarono la resistenza armata ai barbari, sostituendosi alle milizie romane in fuga.

Sembra potersi dire con una formula moderna che, nell’insieme, in Occidente, i cristiani né combatterono né sabotarono. Sant’Agostino, per difendere i cristiani dall’accusa di disfattismo e di tradimento, rivendicava la loro vera e sola patria celeste: le città degli uomini rovinano non per colpa dei cristiani, ma per effetto delle nequizie dei loro reggitori. Quella dei cristiani è la città di Dio. Certo, questo non è il linguaggio di un assassino. Ciò che però si può dire, e che resta come nucleo di verità nell’«accusa» degli storici illuministi, è che in Occidente, diversamente che in Oriente, i cristiani, nell’insieme, non contribuirono attivamente alla difesa dell’Impero. Dunque, non assassini, ma, al piú, spettatori piú o meno indifferenti.

La seconda posizione, che attribuisce ai barbari,



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